A chi piace la retorica da trivio

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Come a Tolosa, nel sud-ovest della Francia, quando un’insegnante di una scuola privata musulmana è stata interpellata da una pattuglia della polizia che passava per strada. Un testimone che voleva filmare la scena è stato arrestato. E qualche ora più tardi, davanti al commissariato centrale, si è assistito all’organizzazione di una preghiera collettiva… 

La laicità  resta un valore cardine della République. Dal 1905, anno di adozione della famosa legge difesa da Aristide Briand, lo Stato non riconosce e non sovvenziona nessun culto: ognuno è libero di credere o meno e, in materia religiosa, il solo scopo della Repubblica è di far convivere atei e credenti senza privilegi o discriminazioni. Almeno in principio, ognuno dovrebbe essere libero di praticare la propria religione e di rispettarne le regole. Perché la fede appartiene alla sfera privata e lo Stato non deve intervenire né per favorire né per discriminare i diversi culti.
Come spiegava già  Locke, il potere politico non può permettersi di enunciare regole e norme in materia religiosa perché non è suo compito “governare le coscienze”. I cittadini, però, devono a loro volta rispettare le regole comuni ed evitare qualunque forma di proselitismo religioso nelle strutture pubbliche (ospedali, tribunali, scuole, servizi). È all’interno di questa logica che, in Francia, si inserisce la famosa legge del 15 marzo 2004, che proibisce non solo di portare il velo a scuola, ma anche di indossare, nelle aule scolastiche, qualunque simbolo religioso visibile, come la kippa o la croce. Ma si può invocare la laicità  per giustificare quest’ultima legge che vieta alle donne di portare per strada un velo integrale (burqa o niqab)?
L’argomento utilizzato dal legislatore non è stato esplicitamente quello della laicità . Nei dibattiti parlamentari, alcuni hanno insistito sulla dignità  delle donne. Altri sulle questioni legate alla sicurezza: portare un velo integrale non permetterebbe di identificare colei che lo indossa e ci sarebbe dunque il rischio di utilizzare il velo per atti illegali. È tuttavia proprio nel nome della laicità  che molti difendono la legge anima e corpo. In un clima sempre più teso, si insiste sul pericolo dell’Islam radicale, evocando la fine della cultura francese e demonizzando ogni forma di multiculturalismo. Mentre Marine Le Pen cresce nei sondaggi accusando il governo di lassismo e Nicolas Sarkozy dichiara che nella trasmissione dei valori nessun insegnante può sostituirsi a un prete o a un pastore.
Che cosa resta allora della laicità ? Come rendere possibile la convivenza di valori differenti senza per questo rinunciare al patrimonio culturale del proprio paese o chiudere gli occhi sul fatto che alcune donne siano costrette a velarsi e certe adolescenti vengano maltrattate dai padri solo perché corteggiate a scuola, come accaduto recentemente in Italia? 
In un’epoca come la nostra, in cui la questione della laicità  va di pari passo con l’aumento non solo degli integralismi religiosi, ma anche dell’intolleranza e del razzismo, forse bisognerebbe interrogarsi di nuovo sul significato dell’espressione “identità  nazionale” e cercare di capire come il rispetto delle differenze non implichi necessariamente una “tolleranza passiva”, come ha recentemente affermato il primo ministro britannico David Cameron, denunciando il fallimento del multiculturalismo all’anglosassone. Ogni paese ha certamente un proprio patrimonio culturale specifico, che va di pari passo con la storia della propria unità , con le contraddizioni e le difficoltà  che si sono di volta in volta incontrate per imparare a vivere insieme. Cultura, usi e costumi fanno parte delle nostre radici e ci permettono di sapere da dove veniamo e dove vogliamo andare. Indipendentemente dal paese in cui ci troviamo, la nostra lingua, le nostre credenze religiose e nostri valori contribuiscono a farci sapere chi siamo. Al tempo stesso, però, l’identità  non è mai monolitica. Ogni persona evolve e si trasforma grazie anche a tutti coloro che incontra nel corso della propria vita. E un discorso analogo vale anche per l’identità  di un popolo. La conoscenza di altre culture ci arricchisce e ci permette di rimettere in discussione le nostre certezza. Certo l’Altro, in quanto “altro”, disturba e sconcerta. A causa della sua “differenza”, ci obbliga ad interrogarci sul ruolo che l’alterità  occupa nella nostra vita, e sullo spazio che siamo disposti a darle. L’altro è il contrario dell’ordinario e dell’abituale. È per questo che molto spesso lo si rifiuta, utilizzando la nozione di identità  per far credere alla gente che esista una barriera rigida capace di distinguere l’io dal non-io, il fratello dallo straniero: una barriera che si erige ogni qualvolta una cultura, una religione o una società  non riesce né a pensare l’altro, né a pensarsi con l’altro. Ma erigere barriere o promulgare leggi che nel nome di una certa laicità  interferiscono con le scelte religiose dei singoli individui non serve a pacificare una società . 
Questo tipo di strategie non fa altro che spingere alla radicalità . Al contrario della tolleranza, che è la vera colonna vertebrale della laicità . Anche se la tolleranza non è mai, come ci insegna Voltaire, mera passività . Accettare la diversità  religiosa e culturale non significa chiudere gli occhi di fronte a pratiche estremiste che ledano i diritti umani fondamentali su cui si basa la nostra società . Ma il caso del velo integrale per la strada non è certo una di queste pratiche. Il vero compito di uno Stato laico non dovrebbe d’altronde essere quello di organizzare la coesistenza delle diverse libertà ?


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