Censure, silenzi, par condicio per neutralizzare le opinioni

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TORINO – Il Salone del Libro nell’anno dell’unità  nazionale si è diviso in due: da un lato la passione del pubblico, soprattutto dei giovani, per gli appuntamenti dedicati ai temi politici e civili, alla difesa della democrazia e della Costituzione; dall’altra la tendenza degli organizzatori di Librolandia, complici le elezioni amministrative in corso, a congelare o, quantomeno, a sterilizzare le opinioni politiche e gli argomenti culturali più scomodi. 

Una sterilizzazione, questa, che, se rischia di limitare la libertà  di espressione, ha avuto a volte effetti addirittura grotteschi. Come nel caso di Piero Fassino, candidato a sindaco di Torino per il centrosinistra, indotto a tacere, per rispettare il silenzio elettorale, a un dibattito sulla Turchia; o in quello di Roberto Cota, governatore leghista del Piemonte, che all’ultimo ha disertato la presentazione di un libro per giunta nelle sue corde. Oppure, ancora, quando lo staff del salone si è intimorito per qualche citazione di un pensatore come Antonio Gramsci da parte di un magistrato, e le ha cassate dai comunicati ufficiali, per poi decidere persino di non far seguire dall’ufficio stampa gli incontri maggiormente caldi. A cominciare dal convegno per i venticinque anni di MicroMega, dove, in effetti, si è parlato male di Silvio Berlusconi e della sua riforma della giustizia, ma non sono stati risparmiati cenni critici al Quirinale e si è lanciata la candidatura di Margherita Hack a senatrice a vita.
L’irruzione di timori puramente politici in un dibattito che dovrebbe essere innanzitutto culturale ha prodotto prudenza, equidistanza, un colpo al cerchio e uno alla botte e un po’ di lottizazione. Così un ampio spazio è stato affidato a Lorenzo Del Boca, giornalista che piace alla Lega Nord ed è specializzato nella demolizione del Risorgimento, per promuovere una serie di dibattiti assai poco unitari. Senza dimenticare il ricorso a una sorta di manuale Cencelli dell’editoria per la mostra «1861-2011. L’Italia dei Libri». Anche perché i vertici della kermesse del Lingotto, da Rolando Picchioni a Ernesto Ferrero, passando per tutto il consiglio d’amministrazione, sono in scadenza. Circolano pertanto voci su un possibile ribaltone o, se non altro, su complesse alchimie politiche e di potere.
Si fanno già  nomi di eventuali pretendenti al trono, da Alain Elkann a Gian Arturo Ferrari, curatore della discussa esposizione sui 150 libri che hanno fatto l’Italia e gli italiani. Si sa inoltre che la Lega vorrebbe dare maggiore peso a se stessa nella Fondazione per il libro, la musica e la cultura, che genera la fiera, dando una poltrona al citato Del Boca, già  piazzato da Cota nel consiglio della Fondazione. Tutto ciò, pertanto, ha indotto i timonieri del Lingotto a procedere con i classici piedi di piombo.
Se la Russia ha avuto la sua vetrina, la Palestina sembra essere stata tenuta un po’ in disparte. Mentre è stata chiarissima la dissociazione di Picchioni e di Ferrero dai contenuti della lezione di Franco Cordero. Per la prima volta nei ventiquattro anni della storia di quello che si presenta come il più grande evento culturale di massa d’Europa (e che ha sempre ospitato senza problemi le voci più diverse), sono state dunque prese le distanze dalle idee di un autorevole ospite. Galeotto, come il libro dantesco, un passaggio sul Cavaliere. A mettere le mani avanti è stato Ferrero, il direttore della programmazione culturale, che prima dell’inizio dell’intervento del giurista e scrittore piemontese, ha letto una nota di censura. Spiega ora: «Di fronte a parole così violente, sopra le righe, eccessive, mi sono sentito in dovere di precisare che questo non è un luogo d’invettive, bensì di dialogo».
Ferrero sostiene di avere agito in piena autonomia, sebbene Vittorio Sgarbi, ieri in fiera, riveli: «Ho visto Berlusconi pochi giorni fa. Mi ha parlato degli attacchi contro di lui di Dario Fo, di Adriano Celentano e del professor Cordero, che lo ha paragonato a Hitler». S’incrociano, in una singolare coincidenza, le parole del Signor B. e la scelta del Salone del Libro, fermo restando le ragioni addotte dal direttore del salone. In ogni caso, la sua mossa non è piaciuta a tanti, fra i protagonisti presenti a Torino che lamentano l’inquinamento di criteri politici nel dibattito che dovrebbe essere libera circolazione delle idee. Stefano Mauri, editore del libro di Cordero con Bollati Boringhieri, preferisce evitare toni polemici, rammentando solo che evidentemente «le elezioni surriscaldano il clima». Mentre Lorenzo Fazio, della casa editrice Chiarelettere, dice che si tratta di «un fatto grave», e lo studioso della politica Marco Revelli aggiunge: «Conoscendo Ferrero, mi sembra impossibile che abbia fatto quelle affermazioni su Cordero, che sono la negazione della cultura e della sua libertà ». E il sociologo Luciano Gallino parla di «una brutta pagina, un brutto segno». Il matematico e logico Piergiorgio Odifreddi, poi, lo attribuisce «alle elezioni, nonché alla scadenza dei vertici del salone». 
Chiude quindi in questa atmosfera l’edizione più cerchiobottista dal punto di vista istituzionale del Salone del Libro, che pure ha visto il pubblico, anche quest’anno a livelli record, affollare gli incontri di maggiore rilievo civile e politico. Una contraddizione stridente, insomma, e un grigio segno dei tempi.


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