Fiat, Chrysler rimborsa Usa e Canada

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NEW YORK – Dove eravamo rimasti? La Chrysler «è andata all’inferno e tornata», dice il Ceo Sergio Marchionne, cancellando con sei anni di anticipo il debito con Barack Obama e annunciando il nuovo primo azionista della società : cioè proprio la sua Fiat, che sale dal 30 al 46 per cento. «E’ una pietra miliare» dice il presidente degli Stati Uniti. «Abbiamo mantenuto la promessa» dice il Ceo dei due mondi: «Restituendo fino all’ultimo centesimo». 

Per la precisione, 5,9 miliardi di dollari al Tesoro degli Usa e 1,7 miliardi al governo del Canada. E’ il prestito che ha permesso di rimettere in strada quel gigante piegato appena due anni fa dal peso della recessione e della bancarotta. Lo sa bene Marchionne, che ha accelerato la restituzione perché la manina del governo macchiava l’immagine dell’azienda come una manata sulla carrozzeria tutta nuova: e rifinanziando il debito con i privati risparmierà  anche a 350 milioni di interessi. 
«Yes we did it», ce l’abbiamo fatta, dice ora riecheggiando proprio l’amico Obama. Che ovviamente celebra pro domo sua: «L’aiuto all’auto ha richiesto decisioni dure: ma io non potevo abbandonare i lavoratori della Chrysler e le comunità  che dipendono da questa icona d’America». Lo spiega il segretario al Tesoro, Timothy Geithner: i criticatissimi bail out, i salvataggi di Chrysler e Gm (ricordate le battute su General Motors diventata «Government Motors»?) alla fine hanno funzionato. 
Certo, lo stesso Ron Bloom, uno degli zar di Obama per l’auto, pure riconoscendo la «rapida ripresa», dice che per Chrysler c’è ancora «tanta strada da fare». Ma oggi è giorno di festa, lì nello stabilimento di Sterling Heights, Michigan. «Mi ha chiamato il vicepresidente Joe Biden per congratularsi», dice Marchionne. Ma è tutta l’America, con il New York Times in testa, a notare che «con l’aiuto della Fiat Chrysler sta riemergendo come un solido competitor nel mercato Usa».
Le vendite sono salite del 22,5 per cento nel primo trimestre, più su quindi di quel 19,6 per cento dell’intero marcato Usa: spinte soprattutto dalla nuova Jeep Grand Cherokee e dalla 300 berlina pubblicizzata da Eminem, il rapper di Detroit. E’ arrivato anche il primo attivo in cinque anni: 116 milioni. «Il prestito ci ha dato una rara seconda chance per dimostrare che cosa la gente di questa compagnia può fare» dice Marchionne. Ricordando di conservare però un altro debito, «di gratitudine», verso «chi ha reso possibile l’intervento». E questo è il ceo di Chrysler che parla a Obama e all’America. Ai dipendenti italiani, a cui indirizza una lettera, e che ringrazia insieme ai sindacati, l’amministratore delegato Fiat assicura invece che l’operazione «è semplicemente un passaggio finanziario e tecnico». Non certo l’ultimo. Per salire al 51 per cento di Chrylser, ora Fiat deve realizzare l’ultima condizione: costruire una vettura, negli Usa, su piattaforma italiana, con prestazioni da 40 miglia per gallone. E poi «arrivare, nel più breve tempo possibile, alla nascita di un solo gruppo». «Mi ricordo come gli analisti ci guardavano dall’alto in basso», dice Marchionne: «Lo stesso tipo di sguardo che si rivolge a un bimbo che vuole fare l’astronauta. Ma noi abbiamo osare sognare: in grande».

 


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