Il duca Valentino del terzo millennio

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Nel clan regnano sottomissione servile e guerra permanente, ferocissima. Ogni tanto qualcuno sparisce. Non sembrano vivi, macchine parlanti, quando sfilano sugli schermi recitando formule che ogni mattina detta un organo anonimo, cervello collettivo. Masnada ubbidiente. Dominus vi scherza: «stai a vedere» e chiama il guardasigilli, dignitario dal viso spirituale. «Comandi». «Mi serve una legge che sospenda il codice penale, sicché non esistano più reati» (perversa figura penalistica dello «iustitium» o «iuris dicendi intermissio»: una stasi in cui «nihil iure agi potest» e quel che avvenisse, non varrebbe; con un salto dal civile al penale, significa regressione allo stato legalmente amorfo; mancando le norme, scompare l’illecito). «Per quando?». «Domani».
Il fedelissimo s’inchina, va nel laboratorio, indossa il grembiule, cava gli arnesi, siede al desco. «Visto?». Sbalordito, l’interlocutore accenna la smorfia d’un sorriso (lo supponiamo venuto da paesi nei quali lo ius sia cosa seria). Sua Maestà  ride a piene ganasce. Se l’è designato capomastro d’un governo servizievole, appena lui ascenda al Colle portandovi l’«elegante» suo stile. I programmi postulano una democrazia plebiscitaria decerebrata: il popolo pseudosovrano è corpo senza testa; non gli serve; regolato dai media, emette suoni e compie gesti ad hoc. Pro forma siede un parlamento, organo vociferante del padrone: ai bei tempi era antagonista del re; sub divo Berluscone riprodurrebbe Reichstag nazista o Camera dei Fasci e delle Corporazioni, quod Deus avertat, ma lo vediamo già  nelle Camere attuali, sebbene in una il sovrano sia forte appena d’un minimo margine. Vuol riscriversi la Carta e comandare le giurisdizioni come a stento vi sarebbe riuscito Re Sole. […]
S’illude chi lo dà  ormai cadente. I riflessi belluini scattano nelle avversità  e gli restano risorse soverchianti ma ha dei punti vulnerabili. Egomane forsennato, ignora gli altri, né misura i limiti del fattibile. Tra i più ricchi al mondo, e sappiamo in qual modo lo sia diventato, può permettersi una paranoia triumphans: nelle psicosi acted out il disadatto al gioco sociale, anziché adeguarsi, cambia le regole modificando gli scenari; è performance rara, dall’epilogo catastrofico, almeno sinora. Adolf Hitler vi dura dodici anni. Qui siamo al diciassettesimo in un contesto molto diverso, d’opera buffa e fondali neri.
Gl’italiani s’annoiano presto. Ora, costui calca le scene da troppo tempo, ripetendosi nel repertorio dei guitti: gesticola e straparla oltre il tollerabile da chi non guadagni l’obolo o lauti profitti fingendosi devoto; cade quotidianamente nel ridicolo; spaccia lugubri barzellette; davanti all’obiettivo mima scene d’infimo varietà . Il grottesco è un genere i cui aspetti deformi stringono lo stomaco. Appare anche inetto, a parte l’abilità  affaristica pro domo sua, davvero diabolica. Ed è vecchio; uno stato molto naturale, persino bello sotto qualche aspetto, purché non lo deturpino i belletti (Ovidio li chiamava «medicamina faciei»). Gli sta a pennello la definizione leopardiana del ridicolo: i difetti non fanno ridere; ridiamo del tentativo d’occultarli simulando qualità  inesistenti (Pensieri, § 99); ad esempio, pretendersi interlocutore determinante nel consesso mondiale, maestro dell’ancora inesperto Presidente Usa, taumaturgo, seduttore irresistibile, miracolosamente giovane, umanista, lettore d’Erasmo. Voci registrate dicono cosa pensino le baiadere nella reggia: l’occhiata puttanesca sviluppa una fredda perspicacia; e vuoto d’ogni barlume critico, lui posa sorridendo, convinto d’essere adorato. Se perdesse i miliardi, le cui decine ormai sfuggono ai calcoli, sarebbe triste caso clinico. Insomma, faiblesses croniche forniscono larga materia all’italiana crudeltà  analitica nel jeu de massacre. Arte micidiale dello scherno: chi la pratica meglio acquista fama; i poveri pazienti finiscono spellati (Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani, Bollati Boringhieri, 2011, 30 sg.); e B. offre enormi bersagli.
Svanito lo charme, restano equazioni pratiche. Sono esigua minoranza gl’ingrassati dalla festa berlusconiana, né danno bello spettacolo. Innumerevoli esclusi sudano vite faticose. Svanendo l’ipnosi, l’infatuato apre gli occhi e prende le misure a Dulcamara. Le storie parlano d’un popolo povero, cinico, ingegnoso: perde le battaglie finendo bene, o meno male, grazie all’istinto del sopravvivere; mimi, incantatori, pifferai, jokers lo divertono ma nelle congiunture climateriche acute calcola sulla punta delle dita, infallibile. Qui le fantasmagorie durano poco. Fa testo l’ignobile collasso del secondo fascismo, primavera 1945, dopo tanta retorica: onore, fedeltà , bella morte et similia; lo squadrismo del tempo pseudoeroico era comoda violenza sugl’inermi. I precedenti, dunque, non escludono, anzi lasciano supporre che, visto dove li porta, lo buttino dalla finestra: è una metafora, s’intende; ma gli converrebbe prevenirli recludendosi in uno dei paradisi dei quali possiede le chiavi. L’italiano naturalmente filosofo può riuscire dove fallivano i politicanti: l’incognita sta in costoro; se la commedia non cambiasse testo e attori, persistendo sacche d’assenza disgustata dal voto, diventeremmo sudditi d’una signoria fondata sullo sterminio dei valori, solo geograficamente europea.
L’Italia fascista era meglio o peggio dell’omonima trafficante decerebrata? Meglio, direi: l’ex sovversivo dagli occhi sbarrati e scatti epilettoidi, gran giornalista, scrittore d’istinto (è letteratura quel Tempo del bastone e della carota), in forme egomaniache sognava le fortune d’l’Italia, senza succhiare denaro finché uscisse dalle orecchie, né la istupidiva, visto che i Littoriali covano focolai d’antifascismo e quanto scherno riscuota Achille Starace, trovarobe-cerimoniere del carnevale nero. Sotto qualunque maschera, Re Lanterna, alias Olonese, famoso pirata, resta Crocodilus ridens, sornione, astuto, vecchio: le sue gesta non sono storia politica ma naturale; lasciamole a Plinio senior, nel capitolo dei grossi rettili.
(L’articolo è un estratto della lezione che terrà  al Salone del libro di Torino, domani sabato 14 maggio, alle ore 16.30, sul tema “Scorci del vizio italiano”).


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