Quel demone del potere che fa tornare selvaggi
Dilaga fino a quelle forme, le più primitive, che hanno nella pratica sessuale reiterata, quando non addirittura nell’aggressione sessuale, la forma più elementare dell’esercizio di potere.
Lo vediamo negli animali che appena si incontrano, se non scatenano subito l’aggressività , focalizzano immediatamente gli organi sessuali, obbedendo a quello che in loro detta la natura.
La quale li prevede esclusivamente come funzionari della specie, che li seleziona o nella forma dell’aggressività (mors tua vita mea) o nella forma della sessualità indifferenziata, per garantirsi la propria continuità a prescindere dal riconoscimento della specificità degli individui.
Il grande lavoro, prima delle religioni, poi dei processi di civilizzazione, è consistito sostanzialmente nel porre freni sia all’aggressività indiscriminata sia alla sessualità selvaggia, trasferendo questa pulsionalità ineliminabile dal livello animale e bestiale al livello umano e sociale. Questa è la ragione per cui, a livello umano, l’aggressività diventa competizione che, se vincente, garantisce identità e riconoscimento a cui gli uomini massimamente tendono. Ce lo ricorda Hegel là dove annota che mentre gli animali uccidono per soddisfare la fame, gli uomini uccidono per avere il riconoscimento del loro potere e della loro superiorità .
Questo per l’aggressività , mentre per la sessualità , religioni e percorsi di civilizzazione hanno portato al riconoscimento dell’individuo, al suo primato rispetto al genere, per cui attenzione a quei maschi che parlano delle «donne» e non di «questa» o «quella» donna, perché in costoro il processo di civilizzazione non si è ancora compiuto, e la loro condizione psichica non si è ancora emancipata dallo stadio di una potenziale sessualità indifferenziata non dissimile da quella animale. Questa dovrebbe essere la carta d’identità da consegnare a quanti frequentano le prostitute dove, sotteso allo scambio sessuale, fa la sua comparsa il potere del denaro che tutto può comprare. Anzi, forse il godimento più che nel piacere dei sensi, trova la sua soddisfazione proprio nell’esercitare questo potere.
«Sexual addiction», allora, più che una coazione sessuale risponde a un bisogno incontenibile di verificare in ogni occasione il proprio potere, in quella forma primitiva e animale che è la potenza sessuale, sia nel caso di coloro che, non avendo nella società altro riconoscimento, lo cercano nell’aggressione sessuale, sia in coloro che, saturi di riconoscimenti sociali, vogliono sperimentare il loro potere anche in quei bassifondi delle loro pulsioni che, nel mondo animale, trovano la loro espressione nella pratica sessuale indifferenziata. In questi casi la sessualità non è il «tema», ma il «luogo», il più segreto, il più nascosto, il più impenetrabile, in cui poter assaporare l’illimitatezza del proprio potere.
E qui fa la sua comparsa la figura del «limite» che chi è socialmente misconosciuto vuole oltrepassare, e chi ne è socialmente saturo tendenzialmente non conosce, e perciò deborda come il giocatore d’azzardo che non riesce a trattenersi anche dopo una vincita. Ma quando diciamo «limite» dobbiamo pensare non sono alla società , ma anche alla natura che concede una potenza sessuale per un certo periodo della vita e non per tutta la vita.
Oggi però, grazie agli additivi chimici, questo limite può essere artificialmente oltrepassato, e per chi è invaso dal demone del potere che cosa c’è di più gratificante che celebrare la propria potenza sessuale al di là del limite che la natura per ciascuno di noi ha disposto?
Qui il bisogno incontenibile di potere raggiunge il suo orgasmo, che non è tanto nel piacere sessuale, quanto nel toccare con mano l’oltrepassamento del limite posto dalla natura, in personalità che non hanno mai conosciuto le figure del sentimento, rimasto primitivo e non evoluto, indifferenziato e incapace di cogliere l’espressione di un volto, la qualità di uno sguardo, il significato di una parola, l’atmosfera di un incontro, perché già prima il loro sguardo è offuscato e ottenebrato dall’opacità della carne, resa inespressiva e quindi inidonea a una scena d’amore, perché non è l’amore che si cerca, ma il piacere della propria potenza, impropriamente chiamata «potenza sessuale».
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