Se una donna guida la televisione pubblica

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Proprio nel momento in cui la donna, cioè la figura femminile di madre, sorella, moglie, compagna, figlia o nipote, si trova a subire un’offesa continua da parte della subcultura televisiva, l’avvento di Lei (“Nomina sunt consequentia rerum”, come dicevano i latini?) può introdurre un fattore di equilibrio o riequilibrio al vertice della Rai. Tanto da autorizzare la speranza di vedere finalmente anche l’altra metà  della tv pubblica, quella più composta e responsabile, più colta e intelligente, meno volgare, violenta e “deficiente”.
È vero che la direttrice generale, “domina” pressoché assoluta dell’azienda nella divisione dei poteri con la presidenza e il Consiglio di amministrazione, è stata a lungo e fino a qualche giorno fa la vice-direttrice della stessa azienda, condividendo perciò le scelte, i diktat o le censure del suo predecessore: dalla nomina di Augusto Minzolini alla direzione del Tg Uno ai vari tentativi di oscurare i talk-show sgraditi al governo. Ed è anche possibile che l’imprimatur vaticano di cui gode, almeno secondo l’opinione più diffusa, si traduca in un vincolo di appartenenza, di fedeltà  o di subordinazione, se non proprio un impedimento o un’ipoteca. Ma, per il momento, prendiamo pure gli aspetti migliori di questo curriculum – da una parte l’esperienza e dall’altra il senso del decoro che appartiene alla cultura cattolica – per concedere un’apertura di credito alla prima “signora di ferro” che assume la guida e la responsabilità  della più grande azienda culturale del Paese.
Se la nomina di Lorenza Lei al vertice della Rai rappresenta effettivamente “una conquista per tutte le donne”, come proclama il sindacato interno dei giornalisti, i cittadini telespettatori devono aspettarsi ora che il suo insediamento contribuisca innanzitutto a risarcire l’immagine e la condizione femminile umiliate dall’egemonia tele-maschilista: dai reality alle fiction, dai serial fino agli spot. E quindi a restituire alla donna la dignità  e il rispetto che merita, in modo da distinguere la tv pubblica da quella commerciale e costituire un modello più civile su cui confrontarsi nella guerra dell’audience; un termine di paragone o magari un punto di riferimento per tutto il sistema.
Il “corpo delle donne”, ricordando il titolo del libro e del documentario di Lorella Zanardo, non può più essere quotidianamente mercificato, violentato, vilipeso, nel progressivo imbarbarimento dei rapporti sociali, individuali e familiari, prodotto dallo sfruttamento della sua immagine; dalla schiavitù mediatica a cui viene sottoposto; dall’insulto delle barzellette o delle battute oscene.
Tutti noi, giornalisti e operatori della comunicazione, siamo chiamati – ognuno per la propria parte – a fare autocritica per il passato, assumendo un impegno di maggiore responsabilità  per il futuro.
(sabatorepubblica.it)

 


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