Rai, pressing di Bersani: “Riforma a gennaio”

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ROMA – «Per cambiare la Rai si può usare anche il pacchetto liberalizzazioni. Ogni strumento è buono. L’importante è fare presto, prestissimo. Il problema va risolto entro marzo». Pier Luigi Bersani ha deciso di domare con la forza il cavallo di Viale Mazzini. Sa di essere in sintonia con Mario Monti e Corrado Passera su questo tema, sa anche che il Colle vigila sui contorcimenti politici della tv pubblica che spesso la fanno apparire ingestibile, sull’orlo di uno perenne scontro politico, quello che il governo tecnico ha attenuato in Parlamento. Alla trasmissione di La7 Piazza pulita il segretario del Pd ha annunciato che il suo partito non parteciperà  più alla spartizione dei posti con la legge Gasparri. Con Repubblica va oltre. Fa capire che alla fine il commissariamento può essere la soluzione migliore. Anche in questo caso sa che l’ipotesi è sulla scrivania del presidente del Consiglio.
La proposta del Pd per riformare i vertici della Rai è depositata alla Camera. Primo firmatario lo stesso Bersani, autori l’ex consigliere Rai Carlo Rognoni e Matteo Orfini, responsabile Cultura. Come nel progetto dell’esecutivo tutto ruota intorno alla figura dell’amministratore delegato. Sostanzialmente il consiglio di amministrazione, più legato alla politica, verrebbe in tutt’e due i casi sterilizzato. Sarebbe un cda che come quello di altre grandi aziende si riunisce poche volte l’anno e non tutte le settimane come quello attuale della tv pubblica. Monti pensa a un mini- consiglio di tre membri nominati dai presidenti di Camera, Senato e Consiglio. Per Bersani il cda può rimanere di nove membri, con fonti di nomina diversa: Camere, regioni, comuni e Tesoro. «La nostra proposta è semplice da adottare perché non stravolge la governance. Basta approvare pochi articoli e soprattutto riportare sotto il codice civile i poteri dell’amministratore delegato». Che diventerebbe un supermanager pienamente operativo. «Ma se ci convincono che per qualche ragione non c’è tempo per varare una vera riforma si faccia, nelle more, un commissariamento. Altrimenti così non si va avanti».
L’amministrazione straordinaria è il sogno di Enrico Letta: «Io tifo per questa soluzione». Può essere anche lo spauracchio che convince Pdl e Lega a partecipare alla cancellazione della Gasparri: tra un cda con la politica dentro (qualcosa) e niente (il commissario) meglio qualcosa. Ma alla fine rischia di diventare l’unica strada percorribile. «Gennaio è il mese decisivo», dice Bersani. Il 28 marzo scade l’attuale consiglio di Viale Mazzini, bisogna arrivare a quella data con la via d’uscita in tasca. Nel Pd qualcuno teme che il commissariamento apra la strada alla vendita di pezzi dell’azienda (Giorgio Merlo, vicepresidente della Vigilanza). Bersani replica: «Con la privatizzazione non c’entra nulla». Giura di non aver affrontato l’argomento con il premier: «Non se n’è ancora parlato». Hanno discusso invece, e a lungo, dell’asta delle frequenze digitali.
Sulla linea del commissario si schiera anche il Terzo polo. «È arrivato il momento di un amministratore straordinario», dice il membro della commissione Vigilanza Udc Enzo Carra. Ma riuscirà  davvero la politica a rinunciare al suo link strettissimo con la televisione pubblica? La risposta è vicina. Monti anche giovedì ha fatto capire di aver aperto il dossier Rai: «Non mi sfugge che molti guardino a me per risolvere quella materia». C’è la questione dei bilanci in rosso, di un cda ingestibile che a metà  gennaio si ritroverà  a decidere di nuovo sul direttore del Tg1.
Molte partite aperte. E se arriva il commissario nessuno può predire quale sarà  il futuro di Viale Mazzini.


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