Una catastrofe diluita nel tempo

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Un primo capitolo del libro di Daniel Tanuro L’impossibile capitalismo verde (Edizioni Alegre, pp. 221, euro 16) parla dei cicli del carbonio. È un avvio insolito. La discussione ambientale comincia di solito un po’ più avanti. Si dà  per scontato l’effetto serra, cioè il riscaldamento del pianeta e lo scioglimento dei ghiacci con conseguente innalzamento del livello del mare, e la discussione verte sulle cause del cambiamento climatico. Per la maggioranza schiacciante degli scienziati, dei tecnici, degli esperti di meteorologia esso è dovuto all’immissione di carbonio in atmosfera, connessa alle attività  umane. Per una minoranza irriducibile è dovuto invece a cause naturali, all’essere pervenuti a una delle fasi di cambiamento epocale non infrequenti nella lunga vicenda della Terra. Alla discussione sul legame tra carbonio – in particolare anidride carbonica, CO2 e metano CH4 – ed effetto serra, si partecipa sempre meno cercando di spiegare di che si tratta: quale sia il ciclo del carbonio, come rientri nella vita del pianeta e come le attività  umane utilizzanti energie fossili possano sconvolgere la natura.

Tanuro – ingegnere agronomo, collaboratore de «Le Monde diplomatique» e uno dei fondatori del gruppo belga «Climat et justice sociale» – prosegue con un esame molto attento e severo della situazione attuale dell’ambiente umano. Il baratro è aperto. I dati che sono analizzati non consentono ottimismo alcuno. I tempi sono strettissimi: non ce la faremo. Possiamo però intervenire e rendere il disastro meno terrificante. La sincerità , ecco è un primo passo per andare in direzione di un adattamento e di una mitigazione (che in un certo senso, sono la stessa cosa). Il disastro in arrivo è esaminato nei numeri e nei tempi.
Una periodizzazione dell’intervento per salvare il salvabile è possibile, purché sia molto rigida e non affidata alla buona volontà  degli stati, di ogni stato. Finora i poteri pubblici sono sempre stati propensi ai compromessi: indulgenza con i potenti, nel caso migliore, carità  con i più deboli; lasciando sempre prevalere l’interesse politico e/o affaristico. Il fatto è che ormai nessuno può più chiamarsi fuori. L’unico modo per raggiungere il limite indispensabile di crescita massima di CO2 e degli altri gas serra, nella scansione delle date previste: 2020, 2030, 2050, 2100 è quello di avere un potere di direzione forte e incontrastato, a livello mondiale oltre che locale. Per dirla tutta, esso deve abolire il capitalismo che è incompatibile con ogni piano di contrasto al riscaldamento globale.
L’autore è molto convinto di questo: il capitalismo nella sua costruzione e distruzione creativa continua di valore, non può che sfruttare la natura e le persone, sempre di più. Per ripristinare i valori d’uso, reintegrare la dignità  delle persone, ridare qualche speranza di sopravvivenza alla natura come la conosciamo è necessario mettere da parte, evitare il sistema capitalistico. Il passaggio può apparire impossibile, al di sopra delle forze di chiunque, ma enunciare l’esigenza, almeno parlare chiaro è già  muoversi nella corretta direzione; fare, come si dice, la cosa giusta. La polemica nei confronti del sistema capitalistico è senza tregua, piena di sarcasmo, di invettive. L’unico modo per salvare il pianeta Terra è quello di invertire la rotta del carbonio e del consumo di natura e il capitalismo non accetterà  mai di distruggersi per consentire il salvataggio generale.
Il capitalismo è un sistema assoluto, proprio come dovrebbe essere il socialismo e non ammette niente al di fuori di sé. Non solo non accetta un altro sistema politico-sociale concorrente, ma neppure la vita e la speranza di vita. Che mondo sarebbe, infatti, senza il profitto, senza il motore di tutto? Meglio, molto meglio finirla. Nasce qui la critica, davvero molto distruttiva e senza rimedio a ogni forma di capitalismo verde. Nell’analisi di Tanuro si tratta della continuazione di quello di sempre, travestito quanto ai mezzi e con il volto mascherato quanto agli obiettivi.
Le attività  industriali cosiddette verdi, di riconversione del sistema energetico e dell’apparato produttivo sono in larga parte una turlupinatura. Esse infatti sostengono la stessa crescita di prima, attuata con mezzi (un po’) differenti. L’obiettivo che le cifre della meteorologia, della fisica e della chimica impongono non è quello di crescere in altro modo, ma di ridurre lo scavo nella natura; e in fretta.
Questo non significa rinunciare all’industria e tornare all’età  dell’oro, ma usare altrimenti conoscenze e tecniche industriali. Il processo immaginato dovrebbe puntare sul risparmio e sull’austerità  dei consumi e su un industria capace di progettare e diffondere energia non fossile né nucleare, edifici e processi a risparmio energetico in modo da ridurre il fabbisogno energetico e contemporaneamente sostituire il carbonio. A questo fine di sopravvivenza un ancor più elevato ricorso all’innovazione industriale.
In vista del risultato valido per tutti gli umani, sarà  necessario – forse non sufficiente – che le novità  industriali e le invenzioni siano messe a disposizione di tutti i popoli, perché possano servirsene. Ogni popolazione infatti sarà  tenuta a fare la propria parte, decisa evidentemente da un consesso di scienziati capaci di esercitare il massimo dei poteri, in un mondo pronto ad ascoltarli. Mentre la critica di Tanuro che quanto ai tempi arriva fino alla conclusione dell’assemblea per il clima di Copenhagen dell’autunno scorso e all’incapacità  mista a presunzione da parte dei 25 paesi firmatari del documento finale, si fa sempre più corrosiva e non risparmia neppure alcuni alti pensatori come Latouche o Jonas, rimane sempre un dubbio sulla possibilità  di mettere in pratica l’obiettivo. Con quale schieramento politico, con quali forze? Dalla sua Tanuro ha solo la lucidità  del pessimismo nell’analisi, la riflessione che anche solo nominando i problemi si fa un passo nella direzione giusta; e infine la certezza che pur se stretta e impervia,la via tracciata è l’unica che porti (forse) alla salvezza.


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