GENESI E DINTORNI

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Solo lo sguardo lungo sulla fecondazione artificiale ci consente di penetrare quel groviglio mai risolto e ora esploso tra sessualità , morale, politica, diritto, paternità  e maternità , natura e cultura, ruoli maschili e corpi delle donne, investimenti emotivi, desideri e paure. Solo una prospettiva storica permette di interpretare un paradosso che è anche metafora della vicenda italiana: proprio il Paese che oltre due secoli fa ebbe un ruolo pionieristico nel vecchio mondo grazie all’abate Spallanzani, artefice delle prime sperimentazioni sui mammiferi, subisce oggi il richiamo della corte di Strasburgo per l’eccessiva rigidità  della legge, una disciplina restrittiva che non ha paragoni nell’Europa comunitaria. Dalla luce del progresso alle ombre della violazione dei diritti umani.
È una storia lunga quella narrata da Emmanuel Betta in questo suo nuovo L’altra genesi (Carocci), ricostruzione meticolosa della fecondazione artificiale dai primi laboratori di fine Settecento – in cui uno scienziato italiano, un chirurgo inglese (Hunter) e un medico francese (Thouret) definirono i primi fondamenti della pratica – fino alle corti di giustizia di oggi, dove si tenta di porre rimedio alle incoerenze della norma. Una storia affascinante che ci conduce dentro le camere da letto della borghesia europea di metà  Ottocento, scosse dallo scandalo d’un modus operandi considerato svilente per la figura maschile, sostituita da speculum e siringa, ma anche dentro i meandri del Vaticano, dove la condanna ufficiale pronunciata dal Sant’Uffizio nel 1897 fu preceduta da una varietà  sorprendente di posizioni, talvolta dirompenti, con argomenti a favore della fecondazione di ordine morale e teologico.
Storie di uomini – medici, scienziati, giuristi, cialtroni mediatici, anche intellettuali come Luciano Bianciardi (in veste di traduttore) – ma soprattutto di donne molto diverse tra loro – casalinghe e maestre elementari, borghesi e popolane, spose e zitelle – pronte a rompere pudori e convenzioni sulla spinta del desiderio di maternità . Una storia di fantasmi che ancora non s’acquietano, ben presenti nel dibattito pubblico di oggi.
«Sì, sono gli spettri che riaffiorano intorno al rapporto tra sessualità  e riproduzione», dice ora Emmanuel Betta, 43 anni, docente di storia contemporanea all’Università  La Sapienza e studioso delle questioni di bioetica. «Fantasmi che investono il significato del maschile e del femminile e scaturiscono da una concezione del corpo delle donne come chiave per la riproduzione di un ordine sociale e culturale». In quegli stessi decenni di fine Ottocento in cui emerge la fecondazione artificiale, si discute
anche di contraccezione, controllo delle nascite, aborto terapeutico, gestione del parto, declino demografico. «Molti di coloro che praticavano e scrivevano di riproduzione artificiale la presentavano come uno strumento per incrementare le nascite ed accrescere il corpo della nazione. Si innesta in questo quadro la questione della paternità , o meglio del ruolo riproduttivo del maschio. Scoprire che la sterilità  era anche una questione maschile, anzi sempre di più maschile, scosse certezze consolidate e un ordine simbolico che attribuiva la parte attiva nella riproduzione all’uomo, anche dal punto di vista biologico. La fecondazione artificiale appariva ancora più disturbante perché esplicitava il carattere culturale – e non biologico – dei rapporti famigliari».
Paternità  come scelta e non come dato puramente biologico. Il principio, assorbito dalla giurisprudenza americana fin dagli anni Quaranta del Novecento, è destinato a rimanere largamente estraneo alla nostra cultura, che continuerà  ad associare la fecondazione eterologa all’adulterio.
Fin dai suoi primi pronunciamenti negli anni Cinquanta, il diritto italiano mostra un carattere repressivo, legato a un’interpretazione organicista della sessualità  presente dai tempi del codice unitario. «Prevaleva l’idea che l’individuo, soprattutto donna, non avesse una totale autonomia sulla propria sessualità , perché portatore di un valore che travalicava il singolo e chiamava in causa un organismo superiore: la nazione, o la stirpe e la famiglia o la società ».
Può colpire che uno dei firmatari nel 1958 del primo progetto di legge sulla fecondazione (il missino Clemente Manco) di lì a poco avrebbe presentato un disegno volto a criminalizzare l’omosessualità . Questa coincidenza ci dice qualcosa? «La fecondazione artificiale fu spesso accusata di essere un veicolo di svirilizzazione dell’uomo e come tale un vettore di omosessualità . Questo non solo perché veniva messo in discussione il ruolo riproduttore dell’uomo ma anche perché per avere il seme maschile era necessaria la masturbazione, e intorno a questa pratica si scatenava la condanna morale».
Il ruolo determinante della Chiesa cattolica è certo la chiave per comprendere molti degli attuali fantasmi. Basti vedere la distanza tra l’irrigidimento del Vaticano, formalizzato nel 1930 nell’enciclica Casti connubii, cui si conformeranno i successivi interventi dottrinali nel corso del Novecento, e gli esiti della commissione d’indagine istituita nel 1945 dall’arcivescovo di Canterbury. «Mentre per il discorso morale cattolico l’inseminazione artificiale era da considerarsi illecita perché violazione di un ordine naturale della sessualità , la commissione inglese approdò a una sostanziale accettazione della pratica, dopo una lunga discussione che sembrava ammettere anche l’eterologa, poi esclusa nel pronunciamento definitivo ». Posizioni molto lontane che forgeranno geografie mentali distanti.
Un altro spettro ancora molto vivo è quello dell’eugenetica.
L’altra genesi ripercorre con puntualità  tutte le implicazioni eugenetiche legate alla fecondazione artificiale, dal modello americano alla pratica nazista, ma siamo ben lontani dai problemi attuali. «L’eugenetica ha oggi un ruolo fuorviante, perché evoca più di quanto sia capace di spiegare. Essa è stata un fenomeno complesso e articolato, con declinazioni nazionali, politiche, culturali, religiose differenti. Quindi è indubbio che la fecondazione artificiale contenga aspetti problematici, ma è altrettanto vero che ciò di cui discutiamo oggi – se una coppia fertile portatrice sana di una malattia genetica possa accedere alla fecondazione artificiale e sottoporre il feto a diagnosi preimpianto – non ha niente a che vedere con l’eugenetica. È chiara la differenza che passa tra la volontà  di edificare un essere superiore e quella di evitare che una persona nasca e muoia rapidamente a causa di una malattia degenerativa». L’equivoco, in sostanza, appare assurdo e inaccettabile. Tra i fantasmi, forse il più molesto.


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