Fisco, il coraggio che serve per decidere cosa tagliare

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Leggo di un ministro dell’Economia che sin qui ha rinviato ai posteri (al governo che verrà  dopo le elezioni del 2013) l’aggiustamento dei conti pubblici e che, ciononostante, viene ritenuto troppo rigido dai suoi stessi alleati. Gli si chiede di abbassare le tasse e di ottenere dall’Europa un rinvio ulteriore della manovra di rientro del debito. Le richieste vengono un po’ da tutti, tanto dai «responsabili» del Sud che dall’ardimentoso (gli chiede “più coraggio”) partito del Nord. È una santa alleanza quella che si profila di fronte alle montagne, anche se tra le sue file si annidano non solo politici di conclamata comunione (e liberazione), ma anche chi ha ripetutamente confessato di «non essere un santo».
Cerchiamo allora di sincronizzare le lancette dell’orologio con quelle del resto del mondo. Sono in corso i negoziati per ristrutturare il debito pubblico della Grecia, ci sarà  dunque il precedente di un Paese dell’area dell’euro che in parte rinnega gli impegni presi con chi ha acquistato i titoli di Stato. I divari fra gli interessi sui titoli di Stato tedeschi e quelli dei Paesi a rischio sono ai massimi. Basta un nonnulla per fare lievitare la nostra spesa per interessi, portando via risorse che potrebbero essere destinate a qualcosa di meglio che remunerare investitori per lo più residenti all’estero. Il nostro governo ha già  preso l’impegno di azzerare il deficit entro il 2014 e adesso è tenuto a chiarire come intende raggiungere questo obiettivo per indurre gli investitori a comprare i nostri titoli di Stato. La manovra sin qui contemplata è dell’ordine di 40-50 miliardi. Non può certo essere rinviata a dopo le elezioni, quando presumibilmente ci sarà  un nuovo governo. Non sarebbe credibile. Al contrario, muovendosi subito il governo potrebbe riuscire a ridurre la spesa per interessi sul debito pubblico rendendo l’aggiustamento meno oneroso. Ad esempio se dimezzassimo lo spread coi bund tedeschi (portandolo a 80 punti base) potremmo conseguire fin da subito risparmi di 3 miliardi di euro, che salirebbero a 6 miliardi nel 2012, per poi stabilizzarsi a 12 miliardi, quasi un punto di Pil. Quindi non solo non si può rinviare ulteriormente l’aggiustamento, ma anzi va anticipato proprio per renderlo meno pesante.
Proviamo anche a tenere i piedi per terra pensando a cosa si può fare per centrare questi obiettivi. Il governo non ha sin qui fatto alcuna riforma che potrebbe accelerare il tasso di crescita del nostro Paese, l’unico nell’area Ocse a non essere cresciuto negli ultimi 12 anni (il reddito pro-capite è rimasto ai livelli del 1999). Anche se miracolosamente l’esecutivo trovasse ora il consenso per varare le riforme che servono alla crescita, prudente non contare sui loro effetti da qui al 2014. Queste riforme pagano con tempi più lunghi. La Germania, ad esempio, beneficia appieno solo ora delle riforme del mercato del lavoro fatte dieci anni fa.
Anche senza ridurre le tasse, la cura dimagrante che ci attende nei prossimi tre anni deve perciò ridurre la spesa pubblica fino a 3 punti di Pil. Dovremo concentrarci sulla spesa corrente dato che la spesa per investimenti è già  ai minimi storici e abbassarla ulteriormente ci costerebbe caro in termini di crescita futura. La spesa corrente è di poco inferiore a metà  del reddito nazionale, Quindi per risparmiare tre punti di Pil, bisogna tagliare le spese di almeno il 6 per cento. Se togliamo gli oneri sul debito pubblico (che non possiamo toccare, ma solo sperare di abbassare con comportamenti virtuosi), la spesa corrente è fatta per più del 40 per cento di pensioni. La parte restante è rappresentata dalla spesa per beni pubblici quali difesa, istruzione, giustizia, sanità , ambiente, cultura, ammortizzatori sociali e assistenza. Anche ieri Tremonti, alla festa della Cisl, ha sostenuto che non intende toccare le pensioni. Questo significa che si sta prendendo in considerazione un taglio della spesa per istruzione, sanità , giustizia e degli altri beni pubblici dell’ordine del 12 per cento in un triennio. Dato che si è abbandonato il progetto delle spending reviews avviato da Tommaso Padoa-Schioppa, tagli così consistenti possono essere conseguiti in tempi ristretti solo facendo pagare di più gli utenti di questi servizi (la spesa alberghiera negli ospedali, la scuola, etc.) Bene che Tremonti lo dica con chiarezza quando rassicura i rappresentanti dei pensionati.
Se poi dovessimo tagliare anche le tasse, dovremmo contemplare tagli ancora più consistenti della spesa in aree in cui già  oggi spendiamo molto di meno che gli altri Paesi dell’Ocse. È questo il coraggio che si chiede al ministro dell’Economia? E non sarebbe più ardimentoso decidere subito cosa tagliare e come rendere più efficiente il fisco a parità  di gettito, e iniziare subito a muoversi in questa direzione in modo tale da poter cercare di ridurre la spesa per gli interessi sul debito?
PS: Leggo anche che il nuovo assessore al Bilancio del Comune di Napoli è Riccardo Realfonzo, che in passato ha lanciato appelli volti a convincere i governi che è sbagliato ridurre il debito pubblico, perché basta stabilizzarlo. Mi sentirei più tranquillo se avesse cambiato idea.


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