Il diario segreto del maestro Benito

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Natalino Otto cantava «Ho un sassolino nella scarpa» , gli uomini eleganti vestivano col doppiopetto grigioperla e intanto le potenti Alfa Romeo 1500 non potevano divorare troppi chilometri perché la benzina era razionata causa sanzioni. Era il 1936, e comincia allora l’ultimo libro di Ulderico Munzi: Mussolini e il mostro di Tolmezzo (Marsilio). Che dal momento del fascismo trionfante— l’età  del consenso, la proclamazione dell’Impero— torna indietro nel tempo, agli albori del secolo, quando Mussolini non era ancora il Duce ma solo un focoso maestro socialista, mangiapreti e anche un po’ perseguitato, andato alla ventura in Svizzera dalla natìa Romagna e poi tornato in patria, insofferente e insoddisfatto, per insegnare nelle scuole elementari di Tolmezzo, fra i monti foschi assai della Carnia. Un romanzo, con diversi, accorti riferimenti documentari— anche più di quelli che l’autore riconosce nell’avvertenza iniziale — e altrettanti spunti immaginari e appassionanti. Una specie di avventura controfattuale — la cosidetta «storia come se» — che, alla fine, approda alle medesime conclusioni della realtà  consacrata agli annali. Perché, nel febbraio 1907, il maestro Mussolini, relegato ai confini dell’italico regno, si ritrova nel mezzo a un horror feroce, accompagnato da memorabili sbornie e ancor più memorabili ritratti— a letto— di signore. E, appunto nel 1936, tutto questo rischia di tornare a galla per via di uno scritto recuperato casualmente (cassetti segreti, messaggi obliqui, confessioni a metà  e via goticheggiando) da una coppia di amanti: un antiquario tolmezzino, disincantato ma anche ingenuo, e la sua amica, giovane, bella, volitiva e fascistissimamente infatuata di Benito. Ora, la gioventù di chi sarà  potente ha spesso pagine da esaltare o cancellare, comunque da modificare, alterare, riscrivere: eroismi in battaglie che non furono mai, successi travolgenti da chansonnier di balera, cataloghi di conquiste femminili con qualche pecca non troppo onorevole. Immagina Munzi sia anche questo quel che succede al futuro Duce, colui che si vorrà , parola di Gadda, «il solo genitale eretto disponibile sulla piazza» . In più c’è dell’altro. Lo scritto nascosto e ritrovato è un memoriale scritto da una giovinetta di buona famiglia che col maestro rustico e torrido — nel sesso e nelle idee — si è divertita parecchio. Ma, siccome un diario tira l’altro, dopo avventurosa caccia ne viene fuori anche uno del giovane Mussolini: sia detto subito, pura e dichiarata immaginazione di Munzi (grazie a Dio, stavolta, non si innescheranno interminabili dispute) ma snodo cruciale nella trama del romanzo e nella sua deriva al nero. Perché lì il non ancora Duce confessa debolezze niente affatto fulgide per il futuro condottiero e anche violenze che è meglio non riportare a galla. Tutto questo avvenuto nel corso di un’indagine privata su un fattaccio cupo e locale, col maestro che si è messo nei panni (sorprendenti) dell’investigatore e in quelli (più consoni) del capopopolo. E col romanzo che, in filigrana, pare ripercorrere casi vicini a noi di psicosi da mostro, ad esempio quel che successe a Firenze col killer delle coppiette. Il Mussolini-detective dipinto da Munzi è complesso, combattuto e contorto, ingannato e tradito da chi pare l’amico migliore: sembra un eroe alla Marlowe, uno di quegli uomini soli contro il mondo e magari anche contro sé stessi perché la bottiglia li tenta a mollare l’indagine. E complessa è anche la dinamica fra i due amanti che, trenta anni dopo, verranno inesorabilmente trascinati nella caccia alle pagine scomparse: un bozzetto ben riuscito di entusiasmi e pigrizie nazionali nel breve tempo del fascismo trionfante, dove i destini personali percorrono una parabola tragica, in fondo presagio di quel che capiterà  all’Italia. Ovviamente, qui bisogna fermarsi per non togliere gusto ai lettori. Si può rivelare che, nel romanzo, la lotta col mostro fra i monti della Carnia lascerà  segni anche sui fondamenti della futura ideologia fascista. E che dietro gli affanni successivi per recuperare memoriali e documenti— entrano in gioco l’Ovra, i fratelli Rosselli, i fuoriusciti indifferenti al consenso imperiale— ci sono anche imbarazzi da cancellare proprio sull’agognato terreno della conclamata virilità  ducesca. Al di là  dei pirotecnici intrighi, il libro suggerisce un paio di curiosità , magari futili ma pur sempre affascinanti. Quanto hanno potuto dittatori, più o meno onnipotenti, manipolare la storia? L’esuberanza giovanile di Mussolini non è fantasia di Munzi: figli illegittimi veri o presunti ne sono spuntati a iosa, quante tracce sconvenienti di questo o di altro tipo avrà  disposto scomparissero una volta diventato il condottiero dell’Italia? E, d’altronde, quanto si riuscirebbe nel nostro tempo — fra imperversare di gossip e dilaganti intercettazioni — a eludere un Duce e la sua suprema volontà ?


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