L’ironia perduta di una grande eroina

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Zia Mame piombò a metà  degli anni Cinquanta in piena mistica della femminilità , ai tempi in cui le donne, allenate alla sottomissione e alla marginalità , non contavano nulla: casalinghe già  disperate però senza saperlo, si lasciarono incantare da quella che loro non potevano essere, una mangiatrice di uomini del tutto indipendente, una protofemminista in giro per il mondo, una generosa democratica carica di gioielli, una ubriacona spiritosa e di gran classe.
Fu un abbaglio, perché in realtà  quella meravigliosa creatura, vuoi vestita da principessa indiana o da geisha giapponese, da bella sudista o da contadinella irlandese, nascondeva nella sua sgargiante e affettuosa femminilità  il primo personaggio davvero camp del romanzo americano: Auntie Mame infatti può benissimo essere vista come la prima drag-queen che usciva dal buio e dal silenzio per diventare una elegante celebrità  mondiale, ai tempi in cui la parola gay voleva dire solamente gaio.
Il successo del romanzo, due milioni di copie vendute in un baleno, dieci milioni in pochi anni, una versione teatrale trionfale con la grande Rosalind Russell protagonista anche del film (1958, in Italia con l’insipido titolo La signora mia zia) fu certamente ingigantito dalla invisibile comunità  omosessuale mondiale, che senza voce e senza immagine, aveva allora diritto solo a rappresentazioni velate, punitive e tragiche. Il successo dell’irresistibile zia era stato tale che, si usava anche allora, il nuovo editore ne pretese il sequel: tutti entusiasti tranne l’autore, che stava dilapidando i favolosi proventi del romanzo in feste e sbronze interminabili.
Tuttavia Edward Everett Tanner III, a 34 anni, una gran barba riccia e un’aria fragile, che si era dato lo pseudonimo di Patrick Dennis, lo stesso nome del nipotino di zia, firmò il contratto e si prese il lauto anticipo. Ma ormai per lui, che stava inseguendo altri personaggi, sempre più camp e sempre più travestiti, Auntie non era che un fantasma: al momento di consegnare il nuovo libro partì per l’Europa, lasciando sul prato di casa un pacco regalo per l’editore, contenente un manoscritto parziale con un bigliettino in cui il fuggitivo si scusava per non essere riuscito a finirlo: che ci pensasse lui, tanto ci era abituato, avendo già  completato, sia pure non brillantemente, un altro suo romanzo The loving couple (Un’adorabile coppia pubblicato adesso da Mursia, pagg. 248, euro 17) che Tanner aveva firmato, cedendo al suo lato femminile, con un altro suo pseudonimo di successo, Virginia Rowans.
Adelphi, che due anni fa ha disseppellito astutamente Zia Mame (nel ’55 edito in Italia da Bompiani), ripubblica adesso il seguito, Intorno al mondo con zia Mame (pagg. 352, euro 19,50) che allora, ed era la fine degli anni ’50, non riuscì a ripetere il trionfo dell’originale, vendendo comunque negli Stati Uniti più di 130mila copie. Snobbato dai nostri intellettuali di allora, tutti presi da Moravia e da Patti e da Calvino e da Brancati, (neppure la Garzantina ne fa cenno), Patrick Dennis è per quelli di oggi una lieta scoperta, da onorare col loro prezioso apprezzamento; infatti la prima zia Mame ripubblicata li ha fatti ridere, il che se in passato era un difetto, oggi anche per loro è un simpatico pregio letterario. E questo forse è il guaio: la seconda zia Mame, quella che nei ricordi dell’ormai adulto nipote Dennis sta girando da più di due anni il mondo con il di lui figlioletto Michael, senza mai riportarlo ai genitori disperati, ha difficoltà  a far ridere (gli intellettuali non so) i suoi antichi fan.
È come se la bizzarra amabile signora avesse perso l’anima, malgrado si sforzi di combinarne di tutti i colori. È come se non avesse più la sua mutevole immagine, la sua dolce follia, il suo eccentrico buon umore; anche se appare seminuda alle parigine Folies Bergère, o fa arrivare a Londra da New York la sua Rolls Royce guidata dal fedele giapponese Ito, né quando affitta vicino a Biarritz Villa Dolorosa, “divina!”, in cui si fondono «il peggio di Granada, di Bauhaus e di Hollywood», o quando all’ombra delle Piramidi perde il controllo della sua cammella e si ritrova sbalzata nella sabbia in pieno solitario deserto.
È Patrick a raccontare alla moglie perché non devono temere per il loro piccino, ricordando le sue avventure con Mame nel fatidico 1937, quando la signora riesce a sfuggire ai preparativi di un colpo di stato nazista in Austria. O quando in Unione Sovietica decide di fondare una Comune agricola deliziandosi delle meravigliose miserie e degli intrighi del comunismo: nella prima edizione del 1958, questo capitolo fu soppresso dall’editore (e ripristinato solo nel 1995), perché erano ancora vivi negli Stati Uniti i terribili anni del maccartismo. Del resto è anche il più debole, il più risaputo, il meno divertente.
Ma perché Mame Due ci diverte meno di Mame Uno? Siamo noi lettori ad esserci immusoniti per impazienza o cattivo carattere? Oppure Attorno al mondo con zia Mame manca delle cure profuse da Matteo Codignola al primo romanzo? O semplicemente la causa è che Tanner-Dennis-Rowands oltre a bere troppo, era in quel momento particolarmente incasinato con la sua vita? Come tanti omosessuali segreti di quegli anni, anche lui era sposato, e sua moglie Louise era una donna bella, intelligente e spiritosa, con cui conduceva una vita altoborghese, per niente eccentrica, allevando insieme i loro due figli.
Nevrotico, infelice, autolesionista, portava ormai un parrucchino, la dentiera che si toglieva spesso, anche svestendosi, in pubblico. Se sino a un certo punto riuscì a contenere le sue propensioni sessuali, poi perse la testa per un certo Guy Kent, un costumista che pensava solo a sfruttarlo. Tentativi di suicidio, cliniche psichiatriche, elettrochoc (ormai si faceva chiamare Psychopatrick), lasciò la famiglia e andò a vivere da solo. Finalmente riuscì a vendicarsi di quella Zia Mame che lo aveva arricchito ma anche sfiancato, pubblicando nel 1961 il suo capolavoro, Little me (Povera piccina, Adelphi 2010), finta autobiografia di una star scemissima, bugiarda e sporcacciona, arricchita delle meravigliose fotografie di Chris Alexander, la cui esagerata e procace protagonista, Belle Poitrine, è il massimo del camp, forse donna, forse uomo, forse travestito, forse trans.
Dennis l’umorista tragicamente infelice, morì a 56 anni di cancro, dopo aver vissuto in Messico, esser diventato poverissimo, aver fatto il maggiordomo, essere tornato dalla moglie.

 


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