Lavoro, la terza via bersaniana

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GENOVA – Nato per governare il paese, solo momentaneamente all’opposizione: così il Pd si presentò quattro anni fa agli italiani. A maggior ragione, in un contesto a lui più favorevole, si accredita oggi. Lo fa anche in un passaggio delicato come la discussione interna sul tema, cardinale, del lavoro. Una discussione che nelle sue pieghe abbraccia, come è naturale per il dna dei democrat, molte (se non tutte) le linee possibili. Come dimostrano le critiche mosse da Sergio Cofferati, sulle colonne di questo giornale, di fronte alle ipotesi d’azione del senatore e giuslavorista Pietro Ichino ma anche di Walter Veltroni. Una discussione che, nel primo giorno della Conferenza nazionale del partito sul lavoro, trova una possibile, ancorché impervia, sintesi nella relazione introduttiva di Stefano Fassina.
Dal quale, a partire dal richiamo all’enciclica «Caritas in veritate» di Benedetto XVI, fino al progetto di un «patto di portata costituente fra le forze politiche, sociali ed economiche per l’interesse generale del paese», arriva sostanzialmente una conferma. Quella di un partito interclassista ed equidistante fra capitale e lavoro. Ma che sul principio costituzionale del lavoro non intende transigere. Missione impossibile?
Stefano Fassina, che del Pd è responsabile lavoro ed economia, spiega che l’obiettivo del partito è quello di avviare la costruzione di una alleanza fra le persone che lavorano: «Non un blocco sociale omogeneo e statico – precisa – ma una alleanza fra interessi diversi, come condizione imprescindibile per dare anima, forza culturale ed etica all’alternativa politica». Di qui una relazione che guarda, necessariamente, all’attuale sistema globale: «Occorre ridefinire il senso del lavoro per affermare, nel quadro di una economia globale oggi senza regole democratiche, un ‘neo-umanesimo integrale’. La sfida investe il ‘senso del lavoro’, prima ancora che il piano programmatico. E’ la sfida che la Caritas in veritate di Benedetto XVI, l’analisi più lucida della grande transizione in corso, pone alla politica. È una sfida ambiziosa in un tornante storico difficile, perché è sbagliato insistere a definire con la parola ‘crisi’ la fase in corso. Siamo in realtà  in una grande transizione geoeconomica, geopolitica, tecnologica e demografica. Una fase di straordinario cambiamento. Il punto politico è: quale tipo di cambiamento?»
Fra resistere e rassegnarsi, secondo Fassina – e quindi secondo la segreteria Bersani – ci può essere una terza via. Non quella blairiana, s’intende. «Nella divisione sindacale su Fabbrica Italia – osserva – abbiamo avvertito il rischio di cadere nell’alternativa tra resistenza e rassegnazione. Invece l’alternativa può essere nel segno dell’innovazione». A ruota la spiegazione: «Oggi, il lavoro subisce rapporti di forza sfavorevoli, come mai è stato nel secolo alle nostre spalle. Il capitale fa shopping globale di lavoro. Gli strumenti istituzionali, politici e sindacali per affermare il lavoro sono spuntati in quanto chiusi nello Stato nazionale. Così, in nome della possibilità  di lavorare, le persone, prima ancora che le organizzazioni sindacali, devono accettare una ulteriore regressione delle condizioni del lavoro. Questa è la chiave per comprendere la vicenda Fiat e tante altre, avvenute ovunque senza titoli di apertura dei media, nel ventennio alle nostre spalle. L’ad di Fiat-Chrysler fa il suo mestiere. Tuttavia l’interesse legittimo della proprietà  dell’impresa non è l’interesse generale. L’interesse dell’impresa diventa interesse generale quando è combinazione virtuosa di due interessi distinti quali la proprietà  dell’impresa e il lavoro».
Di qui le conclusioni di Fassina: «La nostra sfida è valorizzare il lavoro, inteso nella sua generalità , come fonte di identità  della persona e fondamento della democrazia. Oggi siamo prigionieri della stagnazione nelle economie mature perché, invece di invertire il senso di marcia, insistiamo nella regressione del lavoro, direttamente nel mercato del lavoro o smantellando il welfare. Ma il nuovo non è neutro. Spesso è passato remoto camuffato da modernità . Noi vogliamo dare un segno progressivo all’innovazione. È difficile, ma è possibile». Oggi si va avanti.


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