P4, Bossi dice sì all’arresto di Papa

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ROMA – L’incubo carcere incombe sempre di più sulla vita del deputato Pdl Alfonso Papa. A scaricarlo, in pieno Transatlantico, arriva pure Umberto Bossi. A chi gli chiede se la Lega sarà  per l’arresto dell’ex pm ed ex vice capo di gabinetto di via Arenula, pesantemente coinvolto nell’inchiesta su Bisignani, risponde: «Penso che voteremo sì». Fedele al giudizio che ha già  dato sullo scandalo P4: «La Lega, quelle porcherie lì, non le fa». Non basta. Passata mezz’ora ecco un’altra presa di distanza che pesa, quella del coordinatore Pdl Ignazio La Russa: «Il voto in giunta non è mai connesso a un vincolo di maggioranza, anche se poi per prassi spesso questo accade. Quindi nessuno può lamentarsi se qualcuno dovesse votare in difformità ». Quel «qualcuno» adesso non è più chi, nel Pdl, non se la sente di sacrificarsi per salvare Papa, e sono in molti, ma addirittura un intero gruppo della maggioranza.
Le due uscite cambiano la giornata di Papa e gelano chi, nel Pdl, ritiene esagerata la misura dell’arresto. Dice Enrico Costa, capogruppo berlusconiano in commissione Giustizia e componente della giunta: «Di fronte a una misura così pesante e invasiva della libertà  personale bisogna sempre riflettere con attenzione». Ed è lui che, davanti alla buvette, parla a lungo con il leghista Luca Rodolfo Paolini, che fa parte della giunta, per capire qualche sarà  la sua decisione. Poi partecipa a un mini-vertice, proprio di fronte alla sala del governo, con Niccolò Ghedini, Maurizio Paniz e Francesco Paolo Sisto, il relatore sul caso Papa in giunta. Lo convoca lo stesso Ghedini che arriva preoccupato alle sei del pomeriggio, dopo che la maggioranza è andata sotto sulla Comunitaria. La linea di palazzo Grazioli è di evitare le manette per Papa. Non tanto per i reati che pm e guip gli contestano, quanto per le conseguenze politiche. Tre ragioni principali: il «regalo» alle toghe, l’ulteriore e grave segnale di divisione nella maggioranza, il rischio che un Papa pentito sveli retroscena imbarazzanti.
Un brutto affare, per il Pdl, quello di Papa. Di mattina, in giunta, lo difende Sisto. Pronto a dire che contro di lui c’è un fumus persecutionis. Esso si manifesta «con evidenza in vistose anomalie, quali pedinamenti e riprese televisive nei confronti di un parlamentare e intercettazioni non consentite». Irragionevole, lui sostiene, la richiesta d’arresto perché «non c’è né pericolo di fuga, né inquinamento delle prove». Cita tre casi, Saccucci, Negri, Abbatangelo, di autorizzazioni concesse ma per reati gravi come omicidio e insurrezione armata. Si apre qui un siparietto polemico con il finiano Nino Lo Presti che gli ricorda «come quelli di Papa siano reati comuni commessi da un parlamentare, come concussione ed estorsione». Fli non ha dubbi, lo dice in Transatlantico il vice presidente Italo Bocchino: «Papa è messo male, l’orientamento che prevale è l’arresto».
Lui tenta di smarcarsi. Rifiuta le interviste. Dice: «Sono assolutamente sereno». Parlerà , ma con una memoria scritta, mercoledì in giunta. Lo anticipano i colleghi. Ma in giunta non è arrivata alcuna richiesta. Sull’opportunità  che si difenda pubblicamente continuano a esserci dubbi. Soprattutto perché nel Pdl, sempre di più, monta un fastidio nei suoi confronti. Diceva ieri un deputato berlusconiano: «Perché non si dimette e non ci toglie tutti dall’imbarazzo?» Ma Papa, che da giorni passeggia sempre più solitario, a lasciare lo scranno di Montecitorio non ci pensa affatto.


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