Quando l’Emilia salvò la Milano lumbard dalla spazzatura

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MILANO – Era la fine di novembre del 1995 e la più «europea» delle città  italiane soccombeva sotto una valanga di pattume. Spazzatura ovunque: nel centralissimo corso Vittorio Emanuele come a Quarto Oggiaro, estrema periferia: ventimila tonnellate di sacchi neri ammassati nelle strade, la metà  dei quali nel piazzale attiguo alla sede della municipalizzata dei rifiuti, proprio davanti all’ospedale San Raffaele. Emergenza vera, da risolvere subito. Progettare nuovi impianti, potenziare quelli vecchi, avviare un piano per la raccolta differenziata – tutte cose che pure si fecero – non bastava. Bisognava liberare le strade chiedendo aiuto ad altre Regioni. Milano, che allora aveva un sindaco leghista, lo fece. E Marco Formentini vuole ricordarlo così: «Da quasi un anno avevo portato in giunta, come assessore all’Ambiente, uno dei massimi esperti del settore, Walter Ganapini; fu lui, in quei giorni tremendi, a telefonare al presidente della Regione Emilia Romagna, che era Pier Luigi Bersani; Ganapini è emiliano, i due si parlarono in dialetto per un quarto d’ora, e l’aiuto arrivò. Ovviamente – aggiunge – i nostri rifiuti potevano essere accolti, non c’erano i limiti normativi che oggi rendono difficile accogliere quelli di Napoli».
Sedici anni dopo, la nemesi: il partito che fu di Formentini minaccia di «far volare le sedie» se i rifiuti di Napoli finissero nelle Regioni del Nord grazie a un decreto «truffa», come dice Calderoli. Ma allora andò proprio così: Milano fu salvata da altri, anche se non se ne stette con le mani in mano.
Successe che dai primi di novembre i rifiuti prodotti dai milanesi non potevano più essere conferiti nella discarica di Cerro Maggiore (proprietario Paolo Berlusconi), l’impianto più capiente sul territorio provinciale. I cittadini di quel Comune erano scesi sul piede di guerra contro la decisione presa dal presidente della Regione (c’era già  Formigoni, come adesso) di prorogarne l’apertura per altri 18 mesi, dopo che il sindaco leghista di Cerro l’aveva fatta chiudere dall’oggi al domani, proprio su pressione dei propri amministrati che non volevano più il pattume del capoluogo. Il blocco durò 23 giorni, poi Formigoni si accordò con il Comune di Milano e la Provincia su un piano operativo di smaltimento che prevedeva ancora per qualche tempo l’utilizzo di quell’impianto, destinato comunque a chiusura definitiva una volta risolta l’emergenza. Ma prima c’erano state le liti furiose tra il sindaco Formentini e il governatore Formigoni, nel frattempo nominati dal governo il primo come commissario per i rifiuti milanesi, l’altro per quelli provinciali.

 


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