Arenati o bocciati, la vera storia dei decreti attuativi

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La sua ultima sortita è del 7 luglio quando ha annunciato la fine del tunnel: «Dei 38 provvedimenti previsti tra decreti legislativi, decreti ministeriali e regolamenti – ha detto – 32 li ho già  firmati e a breve saranno emanati i restanti sei».
C’è voluto del tempo per orientarsi in questo guazzabuglio, ma oggi possiamo dire che la rassicurazione è, come sempre e purtroppo, molto lontana dall’essere vera. I decreti noti sono 17, riportano in basso a destra la firma tondeggiante del ministro, ma solo uno è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Si tratta del decreto sull’aumento di oltre il 20 per cento dell’importo minimo degli assegni di ricerca, cioè 1436 euro al mese (all’incirca 200 euro in più rispetto al tetto attuale). Tutti gli altri giacciono sui tavoli del Miur, alcuni cercano casa o sono ancora allo stato di bozza, altri come il decreto sul diritto allo studio si è arenato alla Conferenza Stato-Regioni che ha tagliato corto: non abbiamo soldi, il governo paghi. Per il diritto allo studio ci sono 100 milioni di euro, una cifra ridicola rispetto ai 1,6 miliardi spesi dalla Francia. Il rischio è che una parte vada al «Fondo per il merito».
Gelmini ha poi giocato la carta dell’abilitazione, la pietra miliare di una riforma che rischia la morte prematura come quella precedente targata Moratti. Parliamo della famigerata tenure track, doveva essere emanata ad aprile, cosa regolarmente non avvenuta.Doveva essere la quadratura del cerchio, salvare le eccellenti e giovani teste della ricerca italiana, il paese sarebbe risorto dalle sue ceneri. E invece l’importantissimo decreto che stabilisce i criteri di valutazione e i settori concorsuali ha ricevuto due pareri negativi dal Consiglio di Stato e un altro dal Cun. Giunto in Commissione cultura alla Camera sono spuntati alcuni vizi di forma. Il Pd ha presentato un parere alternativo a firma Manuela Ghizzoni dove chiede al governo di sbloccarlo e di salvare il salvabile.
Un racconto a parte merita l’«anagrafe dei professori e dei ricercatori», strumento per valutare – ecco la formula magica della nostra epopea – l’attività  scientifica dei «fannulloni» universitari, comminare sanzioni ed elargire premi, in moneta sonante o in onori spirituali. Le trombe di giubilo hanno suonato invano anche in questo caso. Sono tre anni che il Miur non trova il tempo per attivarla. Senza questa anagrafe i ricercatori a tempo non possono ottenere l’abilitazione e quindi fare i concorsi. Nel 2015 andranno in pensione 14 mila su 57 mila docenti. Non è difficile prevedere già  ora il sovra-affollamento di aule piene come pollai e la decimazione del corpo docente. Chissà  se entro il 20 agosto il governo riuscirà  a far pubblicare in Gazzetta anche i decreti sulla contabilità  e quello sul commissariamento degli atenei in rosso (sono più di 30). È atteso il decreto sui minimi delle docenze a contratto, 25 euro all’ora.
Questa sgangherata vicenda poteva essere evitata con un decreto unico. Così non è stato perchè nel gioco dell’oca manca una casella: i tagli di Tremonti che hanno cancellato tutte le risorse. C’è il sospetto che, come per i tagli della finanziaria, le grane dell’università  verranno rinviate al prossimo governo. Il ministro Gelmini ha una virtù, presentarsi come una guerrigliera che combatte contro la burocrazia di Stato. Continuerà  a farlo, tanto non costa niente.


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