Btp sotto pressione I tassi sfiorano il 6% Metà  debito all’estero

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MILANO — È a un passo dal 6%il rendimento dei Btp decennali sul mercato. Che vuol dire: per lo Stato finanziarsi diventa sempre più costoso. Basta guardare l’ormai famigerato spread, vale a dire la differenza tra i rendimenti dei decennali italiani e tedeschi, arrivata ieri a toccare i 339 punti base: l’Italia, quando ha bisogno di soldi, paga un tasso d’interesse più alto del 3,39%rispetto alla Germania.
Non era mai successo da quando è nato l’euro. E non sono bastate le parole del presidente americano Barack Obama, per cui repubblicani e i democratici non sono troppo distanti da un accordo di massima sui tagli alla spesa (ma l’impasse continua), a migliorare le situazione. O, meglio, i commenti del presidente hanno (in parte) risollevato le Borse, Piazza Affari inclusa, ma non i Btp, il cui spread in serata scendeva solo di poco a 334 punti. Ma chi c’è dietro la massiccia ondata di vendite di titoli di Stato italiani nelle ultime settimane? «Investitori esteri non bancari e non assicurativi sono probabilmente i maggiori venditori» , ha scritto la banca d’affari Morgan Stanley in un rapporto sul debito pubblico italiano.
Questi fondi hanno in mano fino a 175 miliardi di titoli, quindi più del 10%delle emissioni governative ora in circolazione. In generale, la banca d’affari parla di investitori che lavorano su benchmark (parametri di riferimento da seguire, per esempio un rendimento del 3%), i quali potrebbero immettere sul mercato titoli per 25-65 miliardi. Con vendite che potrebbero però essere compensate— — sostiene Morgan Stanley— dalle banche e assicurazioni italiane, che avrebbero ancora ampi spazi in portafoglio per assorbire titoli di Stato fino a 230 miliardi di euro. Nell’analisi e nelle stime di Morgan Stanley c’è anche la «torta» del debito, vale a dire la sua suddivisione per investitore: i titoli di Stato in circolazione (1.577 miliardi) sono per la metà  (787 miliardi) in mano a investitori nazionali (banche, assicurazioni, fondi, piccoli risparmiatori, Banca d’Italia, etc.), mentre all’estero si trovano i restanti 790 miliardi.
Se si includono anche i fondi raccolti in Italia e gestiti oltre confine, la percentuale «nostrana» sale al 56%, piuttosto elevata rispetto ad altri mercati dei bond europei. Mentre sul fronte estero i titoli nei portafogli asiatici dovrebbero arrivare a sfiorare i 100 miliardi. A complicare la situazione, per l’Italia alle prese con il debito, ci sono poi gli ultimi dati sulla produzione industriale.
Secondo l’indagine del centro studi di Confindustria, a luglio la produzione è diminuita dello 0,4%rispetto a giugno e il livello di attività  è oggi del 16,9%inferiore al picco precrisi (aprile 2008) e in recupero del 12,4%dai minimi di marzo 2009. Sempre a luglio, il tasso d’inflazione annuo è invece rimasto stabile al 2,7%di giugno, dopo una risalita che ha portato la crescita dei prezzi al livello più alto dal novembre del 2008. A luglio— ha rilevato l’Istat — la dinamica dei prezzi è stata spinta dal settore energetico e dai trasporti, mentre un effetto di contenimento è arrivato dai beni alimentari non lavorati. Decisamente più in rialzo i prezzi alla produzione dei prodotti industriali, aumentati (a giugno) del 4,3%rispetto allo stesso mese dello scorso anno.


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E ora rischiano anche i grandi creditori.  I vasi comunicanti del credito non conoscono frontiere, la finanziarizzazione ha esposto ciascuno di noi, anche senza saperlo, al giudizio dei mercati. Spingendo la Bce a intervenire a favore dell’Italia, Francia e Germania non lo fanno per spirito europeista ma difendono i propri interessi 

VIVERE SOTTO RICATTO

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Il Pil italiano nel secondo trimestre è caduto del 2,6%, i consumi durevoli e gli investimenti del 10%. La recessione affonda l’economia ma anche i conti pubblici: ci saranno circa 15 miliardi di euro di minori entrate fiscali, forse altrettanti di maggiori interessi – dovuti allo spread – sui quasi 2000 miliardi di debito pubblico, alcuni miliardi di maggiori spese per l’emergenza sociale. In tutto 40 miliardi di euro che spending review e tenue lotta all’evasione non possono compensare. Per quest’anno il rapporto deficit/Pil resta al 2,2%, ma – per gli impegni del Fiscal compact – dovrà  scendere a zero nel 2013: un’altra trentina di miliardi di tagli.

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