Ciappazzi, chiesti sette anni per Geronzi Due e mezzo per Arpe

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MILANO – Sette anni per Cesare Geronzi e due anni e sei mesi per Matteo Arpe. La coppia di banchieri che nel 2002 guidava Capitalia, da presidente e da direttore generale, si trova riunita nel processo Ciappazzi, la disastrata azienda di acque vendute a ottobre di quell’anno dal gruppo Ciarrapico alla Parmalat di Calisto Tanzi. Ieri il pubblico ministero di Parma, Vincenzo Picciotti, ha chiesto di condannarli per aver concorso nel fallimento dell’azienda alimentare. Per Geronzi, ci sarebbe anche il reato di usura.
La ricostruzione dell’accusa descrive l’ex presidente di Capitalia come un banchiere capace di costringere Tanzi ad acquistare la Ciappazzi, un’acquisizione il cui scopo era duplice: far giungere nelle casse della Parmalat un finanziamento da 50 milioni di euro da girare poi alla Hit, la controllata di Tanzi che operava nel turismo e ormai sull’orlo del fallimento. E sgravare la banca romana di una parte dei rischi verso Ciarrapico, una posizione debitoria eccessiva e finita nel mirino di Banca d’Italia.
A ottobre 2002, il timore tra le banche era che il dissesto della Hit si sarebbe riversato a cascata sull’intera Parmalat, tant’è vero che proprio all’epoca della ristrutturazione dei debiti della controllata turistica iniziarono a circolare sul mercato le voci che descrivevano la Parmalat come una “Enron” europea. Da qui la necessità  di evitare il crac. Il regista di tutta l’operazione sarebbe stato Geronzi, il cui potere non si manifestava nei luoghi deputati alle decisioni, ma attraverso conciliaboli ai margini delle riunioni («bastava un colloquio informale a latere di un cda per dare l’input alle strutture bancarie di «giustificare» in qualche modo il sostegno finanziario a Tanzi»). Sempre secondo l’accusa, a comprovare la malafede dei vertici della banca ci sarebbero tutta una serie di anomalie come la velocità  della delibera del prestito, avvenuto in tre soli giorni, la mancanza di richiesta da parte della Parmalat della nuova finanza e la contemporanea girata dei 50 milioni alla Hit. Secca la risposta della difesa di Geronzi: «Non ha mai preso parte alle vicende che hanno condotto Parmalat ad acquisire l’azienda Ciappazzi nell’ambito di una operazione ineccepibile sul piano industriale ed economico», hanno dichiarato Ennio Amodio e Francesco Vassalli.
La posizione di Arpe, invece, sarebbe più defilata, perché non solo non era a presente alla delibera dell’operazione Ciappazzi, ma si era anche opposto al finanziamento della Hit. Prestito che però alla fine Arpe concorse tecnicamente a concedere. I suoi legali, Luisa Mazzola e Paolo Veneziani, hanno tuttavia annunciato che chiederanno la piena assoluzione. All’interno dello stesso procedimento sono state chieste le condanne da due a quattro anni per altri sei imputati, che allora coprivano incarichi di vertice in Capitalia: Alberto Giordano, vice presidente della banca, Roberto Monza, direttore centrale, Riccardo Tristano, ex consigliere di Fineco, Eugenio Favale, dirigente grandi clienti, Luigi Giove di Mediocredito Centrale, e Antonio Muto, dirigente sezione crediti.


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