Strategie lillipuziane per vivere nella crisi

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  Un libro appena uscito negli Usa parla direttamente alla ricca riflessione attorno al «comune» e ai «beni comuni». Si intitola Banded Together. Economic Democratization in the Brass Valley (Illinois University Press). L’autore è Jeremy Brecher, documentarista, storico, attivista e autore di diversi classici inclusi, fra l’altro, Sciopero! (DeriveApprodi 1999) e Contro il capitale globale (Feltrinelli 2002).
In Banded Together (Uniti), Brecher riflette, da storico, su un progetto di «organizzazione comunitaria dal basso» che ha seguito, da vicino, dalle origini, nella prima metà  degli anni Ottanta, prestandogli generosamente le sue competenze di storico e giornalista militante. Il progetto si chiama «Naugatuck Valley Project» (Nvp) e consiste di una serie di iniziative volte a trasformare gli abitanti di questa vallata da «vittime» dei processi di deindustrializzazione, che in quest’area degli Stati Uniti ha colpito con particolare virulenza, in «attori» di una partita difficilissima: lastricata di battute d’arresto e di sconfitte, ma con qualche, tutt’altro che secondaria, vittoria, e soprattutto con la «vittoria» politica di aver provato ad alzare la testa, a superare divisioni etniche, razziali e di genere, per prendere in mano collettivamente il proprio destino.
Nella valle dell’ottone
L’espressione che dà  il titolo al libro viene da una delle tante interviste che Brecher, che è, fra le altre cose, uno dei più bravi praticanti di storia orale d’oltre Atlantico, ha fatto a Theresa Francis, ex operaia e pensionata dell’ottone, ben presto divenuta figura di punta del Nvp. Francis dice a Brecher: «Se tutta la gente di una città  si unisce per trasformarla in un posto in cui si vive meglio, allora diventa un posto dove si vive meglio. Ecco il succo del Naugatuck Valley Project». Che nasce nel 1984 in questa striscia di territorio del Connecticut che taglia in verticale lo stato e deve il nome a una tribù nativa. Quando ci sono capitato per la prima volta, l’anno prima, invitato proprio da Brecher, col quale ho intervistato alcuni operai veterani della Grande guerra e degli anni Venti e Trenta, mi son subito sentito a casa. Perché era un po’ come la Valpolcevera, la parte industriale di Genova nella quale sono cresciuto, con gli stessi squarci aperti impietosamente dalla deindustrializzazione nel ventre di questa zona.
Il Nvp nacque come tentativo di combattere il degrado fisico e mentale che si stava impossessando della regione. Combatterlo mettendo «in comune» le risorse di capitale tecnico, umano e sociale di associazioni civiche e religiose locali, pezzi di sindacato, chiese progressiste, piccoli imprenditori interessati a uno sviluppo «dal basso» e «sostenibile», organizzatori professionisti di base nella tradizione di Saul Alinksy (nella cui tarda scia, a Chicago, ha mosso i suoi primi passi, negli anni Ottanta, un precoce Barack Obama). Scopo? Studiare modi di fornire lavoro, formazione, servizi e assistenza ai tantissimi «senza potere» della vallata. Brecher ricostruisce genesi e sviluppi del Nvp partendo dal giusto assunto che si tratta «anzitutto della storia di individui particolari che hanno dovuto affinate una particolare situazione e hanno deciso come rispondervi». Alle origini dell’iniziativa troviamo dunque Ken Galdston, all’epoca fresco di dottorato nella prestigiosa Scuola di Management e Organizzazione di Yale, che sta a pochi chilometri della «valle dell’ottone», con alle spalle esperienze di contestazione e organizzazione di base sin dagli anni Sessanta e una visione più critica e articolata, più attenta alla lotta ai poteri dell’establishment, di quella dello stesso Alinsky. Galdston fece da catalizzatore attorno al quale si aggrumarono gradualmente sessantancinque organizzazioni di base, con sedi in sei città  dell’area e centinaia di attivisti sparsi per la regione. Ne nacquero progetti come il tentativo di autogestione di una vecchia fabbrica dell’ottone, la Seymour Specialty Wire. Una storia, questa, di cui Brecher ricostruisce con straordinaria acutezza le speranze, gli sforzi, le difficoltà  e in ultimo, dopo anni di sacrifici da parte dei lavoratori e degli attivisti, il fallimento, sotto i colpi della sorda resistenza opposta dal management e dai quadri, una parte dei quali avevano aderito al progetto, ma fra mille riserve, pronti, alla prima occasione, a sabotarlo. Eppure, anche in questa sconfitta, si coglie l’importanza della presa di parola collettiva, della cultura della partecipazione autentica e della dialettica di base.
Le macerie del neoliberismo
Lo stesso spirito ha innervato l’esperimento della cosiddetta Valley Care Cooperative, un’impresa cooperativa immaginata da Theresa Francis, con l’aiuto di alcune amiche infermiere e di giovani medici della zona, per l’assistenza a domicilio agli anziani bisognosi. La Valley Care è andata avanti con buoni risultati per un decennio, fornendo un servizio efficace, formando infermieri e assistenti di tutti i gruppi etnici presenti nella zona. Finchè, alla fine degli anni Novanta, sullo sfondo dello strapotere dei grandi operatori privati della sanità  dischiuso dal fallimento della riforma Clinton, ha dovuto soccombere e sparire. Ma ha lasciato esperienze e quadri che si sono gettati con entusiasmo in altri programmi di assistenza medica disegnata sui pazienti, programmi che oggi cercano di dare gambe sostanziali su cui marciare alla controversa riforma di Obama.
Così come continuano i progetti in atto, sotto l’egida del Nvp, per fornire addestramento e posti di lavoro, forme di divertimento collettivo come il Festival musicale etnico, con la partecipazione della miriade di gruppi etnici e razziali della zona, mediante la combinazione di fondi statali e privati. «Non c’è stata risurrezione nella vallata», conclude Brecher. Ma «la vita continua», aggiunge, fra tentativi, sempre rinnovati, di costruire società  sulle macerie delle sciagurate formule neoliberiste.


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