Bassani e Vittorini, quando gli editori erano letteraTi

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C’è stato un tempo, può osservare un lettore non adolescente, in cui le scelte delle case editrici erano operazioni di alto profilo e a volte perfino di “culto”. Se si va in cerca di un saggio che illustri l’era di cui parliamo, eccolo qui. S’intitola Giorgio Bassani editore letterato. L’hanno scritto Gian Carlo Ferretti e Stefano Guerriero (Manni editore). Bassani è un interprete ideale di quella vicenda e di quei tempi. Non è tuttavia il solo. Non a caso il libro, nella parte scritta da Ferretti, è una sorta di biografia a due facce: la seconda appartiene a un altro esemplare della genia dei letterati-editori: Elio Vittorini. Sulla metà  del secolo scorso questa coppia di scrittori interpretava gli umori più drasticamente separati della critica militante in Italia. Non conta che le case editrici cui approdarono, Feltrinelli ed Einaudi, erano entrambe di sinistra e che essi, prima o in contemporanea con l’attività  editoriale “di macchina”, avessero animato due riviste influenti: Bassani Botteghe Oscure e Vittorini Il Menabò. Fra di loro, le analogie si fermano qui, e cominciano le differenze. Quanto Vittorini era ingordo, pronto ad afferrare qualsiasi sintomo di novità  si manifestasse nelle lettere di mezzo mondo, così Bassani era – o diceva di essere – tradizionalista, allergico ad ogni ubbia sperimentale, legato semmai a una corrente datata, il decadentismo europeo. A rendere inconciliabili le vedute della coppia era soprattutto la diffidenza con cui il romanziere ferrarese contemplava «la nebulosa neorealistica» allora in voga e tale da figurare tra le passioni, magari provvisorie, del collega siciliano.
Benché a tratti minuzioso fino alla vertigine, il saggio di Ferretti non manca di vivacità . Vi si riversa la contesa fra due modi di concepire la letteratura e i suoi legami con la vita civile, dando origine ad episodi che allora parvero veementi. Parlo, ad esempio, della polemica sul Gattopardo, la scoperta di maggior successo di Bassani: un libro che pare fosse sfuggito a Vittorini. Il quale, forse anche per questo, continuò a non considerarlo un capolavoro. Un altro casus belli, stavolta fra Bassani e il suo “patron” Giangiacomo Feltrinelli, fu rappresentato dal “Gruppo ‘63”, un sodalizio di quei giovani della neo-avanguardia che scesero in campo contro Bassani ricevendone risposte molto acri. Feltrinelli, quei giovani li prediligeva. Il contrasto fra lui e lo scrittore ne causò l’uscita dalla casa editrice.
Anche nella seconda parte del libro, redatta da Guerriero e centrata soprattutto sui libri stranieri di cui Bassani promosse la pubblicazione, si ricostruisce uno scontro fra intellettuali. L’origine fu il rifiuto di Bassani di pubblicare nella sua collana feltrinelliana i Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino. Ne conservo, per quello che vale, precisa memoria. Trovo nelle stesse pagine una frase che invece non ricordavo, confidata dall’autore delle “Storie ferraresi” ad Andrea Barbato per L’Espresso: «La letteratura», vi si legge, «è qualcosa che si sente alla prima cucchiaiata». Una frase rapida e tagliente, di quelle con cui l’autore delle Cinque storie ferraresi usava rispondere a chi provava a contraddirlo.


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