Battaglia nel deserto di Sirte

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BENGASI – Infuria la battaglia del deserto attorno a Sirte, città  natale di Muhammar Gheddafi e sua ultima roccaforte, ma anche a Ben Jawad e nel porto petrolifero di Ras Lanuf. Sul cosiddetto “fronte orientale” si combatte aspramente da due giorni, da quando gli insorti hanno riconquistato Brega e lentamente ripreso la loro marcia verso Tripoli. Tuttavia, prima di raggiungere la capitale, dovranno superare uno scoglio duro, durissimo: Sirte, appunto, dove in questi giorni ha riparato buona parte delle truppe lealiste, che sono i soldati sconfitti non solo attorno a quelle sabbie, ma anche in buona parte della Tripolitania. E proprio Sirte, ieri sera, sarebbe stata nel mirino della Nato che, secondo l’emittente libica Al Uruba, schierata dalla parte del regime, avrebbe bombardato a lungo gli schieramenti lealisti.
Questo porto è situato quasi a metà  strada tra Tripoli (da cui dista 450 chilometri) e Bengasi (che si trova 550 chilometri più a Nord-Ovest), e fu qui, in una tenda nel vicino deserto, che vide la luce Gheddafi, probabilmente nel 1942. Nessuno è certo dell’anno preciso, perché prima del 1950 in Libia non era obbligatorio denunciare le nascite. Attorno a Sirte vive la sua tribù, che lo protegge e lo sostiene, ricambiata, da più di quattro decenni. Non è un caso che il suo ultimo, farneticante messaggio audio per “sconfiggere il nemico”, quello lanciato ieri dalla rete televisiva Al-Uruba, il raìs l’abbia indirizzato proprio alla popolazione di Sirte.
È lei che al momento blocca con una resistenza che gli insorti hanno definito “inattesa” la loro marcia verso la capitale. «Siamo sorpresi, credevamo che dopo la caduta del quartiere generale di Gheddafi si sarebbe arresa», dice Fawzi Boukatif, comandante militare delle forze democratiche di Bengasi. Le truppe lealiste hanno invece eretto barriere per difendere la città  portuale e non hanno accolto le proposte di negoziato avanzate dagli insorti, anche ai leader delle tribù locali, per evitare i combattimenti. Spiega ancora Boukatif: «Sembra che non si vogliano arrendere ma noi vogliamo risparmiare la città  e per questo cerchiamo di ottenere di accedere liberamente con il patteggiamento, evitando ulteriori spargimenti di sangue».
Intanto, il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi ha chiesto ai lavoratori di riaprire gli impianti petroliferi di Brega. E soprattutto di ricominciare a pompare il petrolio più a Sud, nei pozzi del deserto, per giungere al più presto a quei 400mila barili al giorno senza i quali nelle casse della nuova Libia non entrerà  neanche un dinaro.


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