Fukushima, il disastro prolungato

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La misurazione non è precisa per il semplice motivo che le radiazioni superavano la capacità  di misura delle apparecchiature in dotazione ai lavoratori della centrale, contatori che registrano fino a 10 sievert per ora.
Per spiegarsi: il sievert è l’unità  di misura della dose equivalente di radiazione, ed è una misura degli effetti e del danno provocato dalla radiazione su un organismo. Con una radiografia, ad esempio, siamo sottoposti a meno di un millisievert (la millesima parte di un sievert) in singola dose; una radioterapia può esporre il soggetto a dosi tra 10 e 40 millisievert (ma concentrati sul tumore da trattare). L’esposizione a un sievert nell’arco di un giorno può causare alterazioni temporanee dell’emoglobina, tra 2 e 5 sievert (in un giorno) causano nausea, perdita dei capelli, emorragie. L’esposizione a 4 sievert può causare la morte nel 50% dei casi; sopra ai 6 sievert la sopravvivenza è improbabile.
Dunque il livello registrato lunedì tra i reattori 1 e 2 di Fukushima Daiichi è ben oltre la dose letale – e bastano pochi secondi per portare alla morte. Gli addetti che l’hanno misurata (a distanza) erano ben protetti da tute antiradiazioni, si affretta a precisare la Tepco (per la loro sicurezza, gli addetti nelle centrali atomiche non devono assorbire più di 250 millisievert nell’arco di un anno), e comunque assicura che quel livello di contaminazione radioattiva è confinato dentro all’impianto. L’azienda spiega inoltre che la misurazione è stata presa vicino alla torre di ventilazione, e questo suggerisce che la contaminazione risalga ai giorni immediatamente successivi al terremoto dell’11 marzo, e dello tsunami che ne è seguito. Il disastro ha mandato in avaria l’impianto di raffreddamento della centrale, ed è questo che ha innescato tutto: i reattori surriscaldati, le esplosioni di idrogeno che hanno squarciato gli involucri di contenimento del nocciolo, i parziali meltdown, il surriscaldamento delle vasche con le barre di combustibile esausto. Gli addetti lavorano sull’ipotesi che siano state proprio quelle prime esplosioni di idrogeno a provocare la radioattività  ora rilevata nell’impianto di ventilazione: probabilmente la zona è così radioattiva da allora, solo che nessuno se ne era reso conto.
La Tepco ha detto di aver chiuso un raggio di parecchi metri attorno alla zona di radiazioni letali – ma aggiunge che questo non rallenterà  le operazioni in corso per stabilizzare l’impianto: l’azienda si è data come obiettivo il prossimo gennaio. Entro fine anno quindi Tepco vuole aver costruito un sistema di raffreddamento, cosa che permetterà  finalmente di «spegnere» i tre reattori danneggiati (spegnere qui è un termine impreciso, perché la reazione atomica non si interrompe a comando: continua a produrre calore intenso, che infatti è necessario raffreddare). Il lavoro include rimuovere le migliaia di tonnellate d’acqua contaminata (altamente radioattiva) ora contenuta nell’impianto. Inoltre lunedì Tepco ha annunciato che costruirà  un nuovo muro, massiccio e che penetri nel terreno per 180 metri, per impedire che l’acqua di falda contaminata possa percolare nel mare. Perché il fatto è che l’impianto di Fukushima Daiichi, sebbene fuori dalla fase più acuta di emergenza, sta continuando a diffondere radiazioni: una catastrofe atomica prolungata nel tempo.


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