Le relazioni pericolose tra politica e affari

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In tutti e tre i casi, infatti, già  la natura ambigua di quei rapporti di dare e avere, di cui non a caso si percepisce l’impaurita eco in una serie di manovre anti indagine davvero sconcertanti in amministratori pubblici, ipoteca l’autonomia della politica perché «il peccato originale degli ingenti finanziamenti percepiti — come lo battezzano i magistrati monzesi — condiziona tutt’ora le decisioni» del politico di turno «indipendentemente dal tempo trascorso e dal ruolo ricoperto».
Vale per l’ex responsabile della segreteria di Bersani. Ma, solo per restare alle inchieste delle ultime settimane e con aspetti molto diversi tra loro, vale pure per un presidente del Consiglio messosi incautamente nelle mani di chi (da Lele Mora a Giampaolo Tarantini) gli procura prostitute di lusso e (guarda caso) si vede poi riconoscere generosi prestiti a fondo perduto. Vale per un ministro dell’Economia che pagando 4 mila euro al mese di affitto in «nero» si espone agli appetiti del sottobosco di imprese e grand-commis nel quale il suo consigliere prospera e smista nomine pubbliche. E vale per quella sfilza di influenti parlamentari pdl che, da Scajola a Dell’Utri a Verdini, in modi diversi sembrano neppure aver percepito l’ipoteca accesa sulla loro attività  da chi gli risolveva o facilitava corposi affari immobiliari.
Insieme alla ricattabilità  della politica, l’altro ospite fisso di ogni relazione malata con l’economia si conferma il conflitto di interessi. Anche qui non c’è bisogno di aspettare i processi su Sesto per contare le anomalie. Ecco costruttori che, fortemente interessati alle scelte comunali sul destino di proprie aree industriali (ieri la ex Falck e ancora oggi la ex Marelli), diventano consiglieri comunali (addirittura da candidato sindaco del centrodestra nel caso di Pasini) proprio in seno all’istituzione che deve assumere decisioni su quelle aree dal gigantesco valore economico. Ecco consulenti oggi delle cooperative rosse (come Giordano Vimercati) che trattano con il Comune le sorti del terzo piano edilizio dell’area Falck, ma che 10 anni fa erano invece sul versante politico, stretti collaboratori dell’allora sindaco Penati quando il Comune vagliava progetti imprenditoriali d’interesse proprio anche delle coop. Ed ecco banche finanziatrici degli imprenditori alle prese con i politici, come Intesa, che secondo i pm sembrano «perseguire un interesse proprio» diverso «oltre alla normale attività  di erogazione del credito», più attinente all’entità  dell’esposizione dell’istituto verso gli imprenditori e i loro satelliti.
A legare ricattabilità  della politica e conflitti di interesse c’è il mastice dell’opacità  introdotta da leggi di parte. Le Cassandre, ad esempio, che a ogni scudo fiscale osavano denunciarlo come regalo ai tangentisti oltre che scandaloso premio agli evasori e iniqua beffa agli onesti, si vedono dare facile ma tardiva ragione ora che, dall’imprenditore Di Caterina nel caso-Sesto fino a Bisignani nello scandalo P4, lo scudo fiscale risulta essere stato usato appunto per ripulire tangenti milionarie già  pagate o creare la cassa per pagarne di nuove. E se oggi Penati si vede insistentemente chiedere di rinunciare a un suo diritto difensivo (la prescrizione del reato di corruzione) per legittimare la propria innocenza, è perché altrimenti a privarlo del processo nel quale far valere la sua proclamata estraneità  saranno gli effetti di una legge dissennata, non a caso ripudiata nel 2005 persino dal suo iniziale promotore Cirielli: la legge che ha tagliato i termini di prescrizione, e che rischia di lasciare i fatti addebitati sinora solo in indagine preliminare a Penati, come altri 200 mila procedimenti ogni anno, senza il punto fermo di un accertamento giudiziario.


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