Marchionne licenzia il premier

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 Te le do io le rassicurazioni di Silvio Berlusconi: la casa brucia e bisogna mettersi tutti insieme per spegnere l’incendio prima che sia troppo tardi. Quel che non va non sono le promesse di privatizzare il più possibile e svendere i beni comuni, o di gettare alle ortiche lo Statuto dei lavoratori, o di chiedere la «tregua» sociale: quel che non va è lui, Silvio Berlusconi. Fuori lui, l’Italia riacquisterà  credibilità  internazionale e nei mercati. Ieri, mentre il presidente del consiglio raccontava a un’aula prevacanziera che tutto va bene, dal Michigan l’amministratore delegato Fiat lanciava un siluro contro Palazzo Chigi rivendicando una «leadership più più forte che ridia credibilità  al Paese». «Sto con Giorgio Napolitano – ha detto Sergio Marchionne – è arrivato il momento della coesione». E siccome non si è mai abbastanza chiari, il manager dei due monti ha rivendicato «una leadership in grado di recuperare la coesione. Ovviamente non tocca a me fare nomi ma il mondo non capisce la nostra confusione, non capisce cosa accade in Italia e tutto ciò ci danneggia moltissimo. C’è chi ha compiuto scorrettezze nella sua vita quotidiana. In altri paesi sarebbe stato costretto a dimettersi immediatamente. Invece da noi non succede nulla». Più efficace di Bersani. Salvo aggiustamenti dell’ultima ora con il suo portavoce costretto ad aggiustare il tiro: «Marchionne non ha fatto alcun riferimento a Berlusconi o ad altri rappresentanti del governo – precisa Gualberto Ranieri – Tutte le interpretazioni in tal senso sono destituite di ogni fondamento».

Chi conosce Marchionne sostiene che la sua convinta disistima verso il presidente del consiglio non rappresenta una novità , la novità  sta nell’averla esternata esplicitamente e nel giorno giusto. Governo di transizione o tecnico, piuttosto elezioni anticipate ma basta con Berlusconi. Come se i mercati fossero così cattivi con l’Italia non tanto per il suo stato di salute e la totale assenza di una prospettiva di ripresa, quanto per lo sputtanamento provocato dal capo del governo. Con questa tirata l’ad del Lingotto entra a far parte della folta comitiva riunita sotto lo striscione che grida la parola magica: «discontinuità ». La folta comitiva va sotto il nome di «parti sociali» e mette insieme ben 17 organizzazioni in rappresentanza di imprenditori, banchieri, lavoratori dipendenti, cooperatori, agricoltori e agrari. Oggi incontreranno governo e opposizioni e questo fa tirare un sospiro di sollievo a Napolitano, vero regista dell’unità  d’Italia e teorico della «coesione».
Dentro l’alleanza della discontinuità  va profilandosi un’agenda politica, economica e sociale che molti commentatori hanno già  cercato di dettare ai protagonisti. Dal Sole 24 Ore al Corriere della sera i consigli si sprecano e tutti vanno nella direzione di maggiori tagli alla spesa sociale, di privatizzazioni a go-go, di un’accelerazione della controriforma delle relazioni sindacali e di un patto sociale tra capitale e lavoro che si traduce con la parola tregua (perché, Berlusconi che ha detto?). Musica per le orecchie di Marchionne che sta smantellando, con l’aiuto di Confindustria, i contratti nazionali ed espellendo i diritti (e la non pacificata Fiom) dalle fabbriche.
E la Cgil, che ci fa in quest’allegra brigata liberista? Ci sta perché mette al centro della sua battaglia la fine di Berlusconi, forse addirittura più importante dell’autonomia sindacale e delle scelte di politica economica che comunque continuano a dividere capitale e lavoro. L’intervento del presidente del consiglio al Parlamento è stato subito criticato dalla segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso: «Un discorso deludente, come se la situazione del paese non sia stata determinata anche e soprattutto da tre anni di negazione della gravità  della crisi». Furbo o goffo che possa sembrare, a seconda dei punti di vista, Berlusconi ha tentato il gioco delle tre carte: a chi chiede coesione e discontinuità , a Napolitano come a Marcegaglia e Camusso, a chi vuole la sua dipartita politica, risponde appropriandosi di quelle parole d’ordine, invocando l’unità  patriottica degli attori sociali e la collaborazione delle opposizioni politiche.
Le dichiarazioni di Marchionne hanno fatto sobbalzare un governo che pure con l’ad Fiat coopera nell’attacco ai lavoratori: parole «inqualificabili perché dette da un manager che ha lasciato sulle spalle del governo uno stabilimento, Termini Imerese, e si appresta a lasciarne un altro, quello di Avellino della Irisbus. Oltre a non dire cosa intende fare a Mirafiori», replica il sottosegretario Stefano Saglia. LA SEGRETARIA CGIL Secondo Susanna Camusso quello del premier è stato «un discorso deludente, a partire dalla conferma di quanto fatto, come se la situazione del paese non sia stata determinata anche e soprattutto da tre anni di negazione della gravità  della crisi». Per la segretaria Cgil l’intervento è stato «privo di proposte mentre suona addirittura grottesco che il governo produca proposte di divisione come lo Statuto dei lavori, cercando ancora una volta la divisione e non le risposte ai problemi». IL MANAGER Dopo il duro attacco seguito al discorso del premier in Parlamento in serata l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler Sergio Marchionne, ha voluto rettificare. «Nella sua intervista all’Ansa, Marchionne non ha fatto alcun riferimento a Berlusconi o ad altri rappresentanti del governo italiano, come si legge correttamente nel testo dell’intervista stessa», ha precisato il portavoce dell’ad. «Sto con Napolitano, al paese serve ora una leader ship forte», ha detto Marchionne. Anche senza fare il nome (del premier), difficile non interpretare queste parole.


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