Papa, il Riesame conferma il carcere il pm Lepore: accuse su basi serie

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NAPOLI – I giudici del Riesame accolgono la tesi dei legali dell’onorevole Pdl e fanno cadere due capi di imputazione. Ma il quadro accusatorio dell’inchiesta P4 resta pesante come un macigno e viene confermata la linea dei pm. Dunque Alfonso Papa resta in carcere. La decisione stronca ogni possibilità  di tirare fuori dalla cella di Poggioreale l’ex magistrato e deputato, dopo una partita giudiziaria giocata nell’ultima settimana soprattutto su un tavolo diverso, quello del vizio di forma. Salta anche quello, per due volte. E ora che le carte della difesa sono state tutte giocate – manca solo il ricorso in Cassazione, ma i tempi sono lunghi – non c’è più alcun dubbio: Papa trascorrerà  l’estate dietro le sbarre.
Il parlamentare è in cella dal 20 luglio, l’umore appesantito dalla recente notizia che anche sua moglie, l’avvocato Tiziana Rodà , è indagata in concorso per concussione in riferimento alle consulenze ottenute da Eni, Enel ed altri enti, e per cui la Procura sta analizzando i risultati delle perizie sui conti bancari della Rodà : quello privato e quello con lo studio legale per cui lavora. Ieri l’ultima chance di tornare a casa per Papa azzerata dal dispositivo dei giudici della Libertà . Cade invece l’ipotesi di favoreggiamento personale nei confronti del direttore delle relazioni esterne di Finmeccanica. E si smonta la concussione nei confronti di Guglielmo Boschetti. «Sono sereno, ho fiducia nella magistratura», aveva detto ieri mattina Papa al suo avvocato, Giuseppe D’Alise. Nel pomeriggio viene descritto un Alfonso Papa diverso: «È depresso, quindici giorni di carcere si fanno sentire. E poi ha saputo che anche la moglie è indagata».
Quadro nero, cui va aggiunta una spada di Damocle ancora sospesa. Quella del ricorso dell’accusa al Riesame in merito all’ipotesi di associazione a delinquere. Ricorso per cui i pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio hanno depositato gli atti dove compare anche il rigetto dell’istanza di scarcerazione per il maresciallo dei carabinieri Enrico La Monica. Lì figura il sequestro della pen drive con la rubrica di Papa alla moglie senegalese di La Monica. «È un elemento che rafforza l’ipotesi dell’associazione», spiega il procuratore della Repubblica Giovandomenico Lepore. Il quale manifesta la sua soddisfazione: «È la conferma che il quadro accusatorio è saldo, avevamo visto giusto, non avevamo sollevato polveroni». E continua: «Sono soddisfatto perché il rigetto dell’istanza di scarcerazione per Papa riconosce implicitamente la competenza della Procura di Napoli di cui si è tanto discusso. La difesa di Papa aveva sollecitato il trasferimento degli atti e il Riesame avrebbe potuto rimetterli a Roma. Così non è stato».
Una competenza napoletana basata anche e soprattutto sulle dichiarazioni dell’imprenditore Marcello Fasolino ai magistrati sulle dazioni di denaro a Papa durante incontri avvenuti, appunto, a Napoli. Dichiarazioni ai pm su cui è tornato due giorni fa lo stesso Fasolino: «Ritengo doveroso precisare che non ho mai versato tangenti all’onorevole Papa. I versamenti di poche migliaia di euro risalgono a circa dieci anni fa, e furono da me effettuati all’allora magistrato Papa a mero titolo di prestito. Non ho rapporti di frequentazione con lo stesso da almeno otto, nove anni». Dunque a Napoli mai dazioni di tangenti. «È strano – commenta il procuratore Lepore – che un testimone decida di ritrattare le sue dichiarazioni con un comunicato stampa. Non si era mai visto prima».


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