Rating, il monopolio delle «Tre sorelle»

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Potenti e discreti i fondi Usa sono i veri signori della «tripla A». E ne hanno il monopolio. Ecco chi c’è dietro e chi controlla le «Tre sorelle» del rating, Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch. Nell’era dei veloci e democratici tweet via internet le agenzie sono spesso accusate di essere troppo lente e arrivare a frittata fatta: dopo il mercato, gli speculatori, i giornali e anche i blog. Ma c’è stato un tempo molto più lento e ancora in bianco e nero in cui quelle preziose informazioni sulla solvibilità  riuscivano a preservare gli interessi dei risparmiatori: era il 1929 quando sia la Standard Statistic Bureau fondata da Luther Lee Blake nel 1906 che la Poor’s nata dal famoso diario finanziario History of Railroads and Canals di Henry Varnum Poor nel 1860 avvertirono i propri «abbonati» di liquidare i propri asset prima del «Big Crash» in ottobre. Poche migliaia di persone si salvarono grazie alle pubblicazioni su cartoncini da 5 pollici per 7 che arrivavano per posta. Da allora in effetti le cose non hanno mai più funzionato così bene. E il principale indiziato è il mercato.
Il declassamento da parte di S&P’s della sostenibilità  del debito Usa con la perdita della tripla A per la prima volta nella storia è solo l’ultimo dei casi. Come ha ricordato in questi giorni il Nobel dell’economia, Paul Krugman, quella stessa S&P insieme a Moody’s aveva dato la tripla A ai «Cdo», passati alla storia come i titoli tossici. Delle vere e proprie mine che, infilate nei bilanci di banche, fondi e istituzioni hanno causato la crisi del 2008 e il fallimento di Lehman. Tutti le criticano ma nessuno ne può fare a meno. È un caso di «auto-schiavitù», perché non tutti sanno che i rating si pagano. E cari. Così l’Europa attraverso la Mifid — la direttiva che regola gli strumenti finanziari di tutti i Paesi dell’area — ha prima imposto a tutti come standard il rating e poi, all’inizio di luglio, ha dichiarato guerra a quelle stesse società  per aver messo a rischio l’esistenza dell’euro con i voti su Grecia e Portogallo. Sempre Bruxelles, trainata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, vorrebbe farsi la propria agenzia per i debiti sovrani. La Cina lo ha già  fatto: la piccola Dagong che giudica tutti i bond, pubblici e aziendali, emessi sul ricco mercato interno è presentata come una società  privata. Ma il sospetto che dietro ci possa essere in qualche maniera la mano invisibile della Repubblica Popolare Cinese è forte.
La verità  è che per ora fuggire da quelle A, B o C con cui si viene classificati e da cui dipendono in sostanza gli interessi che bisognerà  pagare al mercato, è impossibile: le «Tre sorelle» hanno insieme una quota di mercato che va dal 90 al 95%. Insomma, un oligopolio nel migliore dei casi. Per qualcuno un monopolio. A guardare gli azionisti c’è da crederlo: il più noto è il «guru» miliardario Warren Buffett che attraverso la sua Berkshire Hathaway è il primo investitore singolo in Moody’s con una quota del 12,47% (declassato anche lui dai «nemici» di S&P’s poche settimane fa). Ma i veri signori del rating a ben guardare sono i grandi fondi Usa: Capital World Investors, Blackrock, State Street, Vanguard Group e T Rowe Price Associates tutte insieme controllano il 29,69% di McGraw Hill, la società  che possiede S&P’s, e il 31,2% di Moody’s. Sommare le quote non è formalmente corretto visto che non ci sono patti di sindacato. Ma le battaglie per la trasparenza nei dati delle grandi società  Usa di Poor, un avvocato che diventò anche editorialista del New York Times, di Blake e di John Moody sembrano lontane.
La minore delle tre sorelle, Fitch, non è invece quotata e pur essendo stata fondata a New York è controllata per il 60% dal gruppo francese Fimalac e per il resto dalla Hearst Corporation, il gruppo editoriale fondato dal mitico magnate Hearst alla cui figura si ispirò Orson Wells per girare Citizen Kane (Quarto potere) nel ’41.
È solo nel Dopoguerra che i rating — nati nel ’22 quando Poor’s iniziò a giudicare i corporate Bond americani e Standard le municipalizzate — si sono insinuati nel delicato meccanismo della crescita mondiale mentre tra economia reale e finanziaria il rapporto passava a pendere irreversibilmente verso la seconda. Ma l’origine dell’oligopolio risale comunque ai primi anni. Nel 1914 Roy W. Porter che aveva acquistato dal cugino Babson la The Babson Stock & Bond Card System — un’altra società  che passava al radar i conti — la cedette a sua volta a Blake. Poi acquistò Moody’s e iniziò a corteggiare la Poor’s che però prima andò in bancarotta e dopo essere stata rilevata da Babson venne fusa con la Standard nel ’41. Tutte le altre agenzie più piccole chiusero o vennero rilevate. Ora imperi finanziari, industrie e stati dipendono da «tre sorelle», pochi fondi e dalla loro lentezza.


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