Tripoli, i ribelli nel bunker di Gheddafi

Loading

TRIPOLI. Entriamo a Tripoli in un pomeriggio torrido quando il fumo del compound si alza già  nero. In strada il richiamo del muezzin si impasta con le raffiche di kalashnikov e le voci dei megafoni che annunciano la presa del simbolo del potere. In tv spopola “Tripoli, ti amo”, l’inno dei ribelli libici.
“Tripoli, ti amo follemente. Tripoli, non temere. Speriamo che la vittoria sia vicina». Lungo la strada che porta a Tripoli sui carri armati distrutti nel deserto si leggono le frasi di sei mesi di rivolta: “Game over”, “Fuck Gheddafi”, “Thanks Sarkozy, Usa e England”. I posti di blocco sono sorvegliati da ragazzi imberbi che fanno fatica a sollevare il kalashnikov ma che gridano “Free Libya” e alzano due dita in segno di vittoria.
Bab al-Aziziya è caduta, la cittadella-bunker di Gheddafi è nelle mani degli insorti. Adesso un gruppo di giovani si avventa sulle foto del raìs, qualcuno prende a calci quel che resta dei mobili, delle porte, delle finestre. Said, un ragazzo di nemmeno vent’anni, va verso la telecamera di Al Jazeera e brandisce la testa decapitata di una statua del Colonnello: «Per ora gli abbiamo tagliato questa, presto sarà  la testa vera, quella di Gheddafi, a rotolare nella piazza dei nostri martiri».
La città  festeggia, qualcuno infrange il Ramadan e mangia frutta prima del tramonto, ma qui, oggi, tutto è permesso. A poche centinaia di metri da Bab al-Aziziya, il giovane Sadir ha preso la piccola telecamera che aveva acquistato un paio di mesi fa in Tunisia e l’ha piazzata sopra il tetto. «Internet funziona, è il primo miracolo da quando ci siamo ripresi la nostra città . E allora voglio mostrare ai miei amici che qui, dopo quarant’anni di dittatura, la gente ha trovato il coraggio di ribellarsi. E finalmente ha vinto». Sadir da qualche giorno ha deciso di non lavorare. «Troppo pericoloso, poi io giro con i camion, capirai…». Adesso ha il soggiorno invaso da inviati di tutto il mondo. Quasi si scusa per quella corrente elettrica che non regge il peso dei computer e lo costringe ogni dieci minuti a collegare i fili con il nastro isolante. «Siete i benvenuti, la mia casa è la vostra casa. La Libia è il vostro Paese, raccontate a tutti quello che siamo stati capaci di fare».
Con la telecamera, Sadir riprende i pick-up dei ribelli con i bazooka che corrono verso il bunker espugnato: “Allah akbar, abbiamo vinto, Dio è grande”. A Bab al-Aziziya gli insorti setacciano il compound, cercano il dittatore stanza per stanza. Ma di Gheddafi non c’è traccia. Ed è questo il grande interrogativo nella notte di Tripoli: si potrà  parlare di vittoria fino a quando il raìs rimane soltanto un’ombra. Soprattutto il giorno dopo la clamorosa ricomparsa in pubblico di Saif, il figlio prediletto ed erede designato, arrestato dai ribelli ma tornato in libertà  in circostanze misteriose. Gli insorti ammettono: «Giovani e inesperti, presi da troppa euforia, si sono lasciati scappare i due figli che erano riusciti ad arrestare, Saif e Mohammed».
Lui, il raìs, è tornato intanto a farsi sentire. Questa volta non ha inviato il solito audio registrato dalle viscere in cui è nascosto ma ha parlato al telefono con il presidente della federazione russa degli scacchi: «Gheddafi è a Tripoli – ha rivelato Kirsan Ilyumzhinov – e combatterà  fino alla fine». L’amico calmucco ha dettato alle agenzie che accanto al raìs c’era il figlio maggiore Mohammed, liberato dai lealisti dopo essere stato arresto dagli insorti: «Muammar mi ha detto che è vivo e in salute: «Mi trovo a Tripoli e non intendo lasciare la Libia», le ultime parole prima che la linea si interrompesse. La conferma di quanto, poche ore prima, aveva detto Saif agli inviati “rinchiusi” nell’hotel Rixos, a due passi dal bunker: «Tripoli è ancora sotto il nostro controllo. Abbiamo spezzato la spina dorsale dei ribelli. Mio padre? Naturalmente è in città ».
Parole che per qualche ora hanno gelato i rivoltosi ma quasi “dimenticate” dopo la conquista del compound. Anche se, fino all’ultimo, i fedelissimi hanno tentato di difendere il simbolo del potere gheddafiano e nella battaglia violentissima sono rimasti a terra decine di cadaveri. Spari sono sempre più fitti. Alle raffiche dei fucili d’assalto si accompagnano colpi di mortai e delle contraeree. Hadia, 37 anni, insegnante d’arte, porta al polso il bracciale verde, rosso e nero della rivoluzione. Con le cugine ha cucito una grande bandiera con il tricolore della libertà . Il bunker non è certo il posto più sicuro della città , ma Hadia ha tenuto un diario della rivoluzione libica, annotando ogni giorno ciò che accadeva intorno a lei, e vuole vedere tutto. Ora con le cugine più giovani canta Shafshousa Maleshi, mi dispiace parruccone, il grido contro Gheddafi che risuona in tutta Tripoli.
Per tutta la serata, mentre in centro impazzavano i caroselli di auto, i ribelli hanno continuato a saccheggiare l’armeria del bunker portando via molti fucili dei cecchini. Perché sono ancora centinaia gli irriducibili del Colonnello appostati sui tetti delle case e pronti a colpire e uccidere chiunque gli capiti a tiro. La tv degli insorti che ha sede a Doha non smette di ripeterlo: «Tripoli è ancora piena di mercenari, state attenti, la città  non è del tutto liberata». «E’ nostra all’80-85 per cento», rimbalzano da Bengasi i capi del governo transitorio. Ma nel caos di queste ore sembra davvero impossibile dare numeri e percentuali. E molti sono scettici anche quando Ibrahim Dabbashi, ambasciatore dei ribelli alle Nazioni Unite, annuncia che «la Libia dovrebbe essere liberata entro le prossime 72 ore».
In un bar di Tajura, a est della capitale, prima di entrare in città  un barista aveva avvertito i cronisti: «Non fidatevi mai di chi sventola la bandiera dei ribelli. Magari è una spia di Gheddafi che vuole incastrarvi. Qui è pieno di infami».
Però a tarda sera nessuno ha dubbi quando i colori degli insorti sventolano sulla piazza verde di Tripoli. Per festeggiare i ribelli continuano a sparare raffiche di mitra. L’odore del fumo non si è ancora stemperato. Per strada c’è anche Sadir, con la sua telecamera, a riprendere tutto. «Piazzo tutto su Internet stanotte così i miei cugini che vivono in America possono vedermi esultare. Loro sono fuggiti in tempo, ma magari adesso ritornano».


Related Articles

L’oltraggio finale dei soldati Usa ai Taliban uccisi

Loading

Oltraggiano i corpi dei Taliban bufera sul video dei marines Il ministro della Difesa Usa Panetta: “Immagini intollerabili”

L’Egitto contro l’attacco

Loading

MEDIORIENTE FRATELLI MUSULMANI E SALAFITI SCENDONO IN PIAZZA A MANIFESTARE CONTRO I RAID

Sarkozy e Cameron a Tripoli “Il nostro lavoro non è finito”

Loading

Bagno di folla. Gli insorti conquistano l’aeroporto di Sirte.  “Gheddafi resta ancora una minaccia”. Arrivato l’ambasciatore italiano

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment