Autunno caldo alla cilena
Una decisione presa dopo l’incontro con il governo, giudicato insoddisfacente. Le organizzazioni studentesche avevano presentato un’agenda di proposte in quattro punti: il blocco dei progetti di legge sull’istruzione previsti dal Congresso, il prolungamento del semestre (che finisce il 7 ottobre) per tutelare i diritti di chi è andato a manifestare, un cambio di indirizzo nella corsa ai profitti in campo educativo, e la trasparenza delle trattative, ovvero la possibilità che i cittadini potessero seguire gli incontri in Tv o via internet. Il governo si è detto disponibile a discutere solo sugli ultimi due punti, accettando di fatto solo quello sulla diretta Tv, e gli studenti hanno sbattuto la porta: al di là delle dichiarazioni di facciata – dicono – non c’è alcuna intenzione di mettere le basi per realizzare un’istruzione pubblica gratuita e di qualità . Anche il collegio dei professori ha protestato contro «l’intransigenza del governo», garantendo la propria partecipazione alle prossime mobilitazione. Stessa disponibilità ha espresso un portavoce della Centrale unitaria dei lavoratori (Cut), Guillermo Salinas: «I lavoratori che rappresentiamo – ha detto – sono i padri degli studenti che devono pagare la propria istruzione». Il 24 agosto, la Cut aveva indetto uno sciopero generale di 48 ore, in cui tutte le categorie sociali colpite dalle politiche neoliberiste del governo avevano marciato insieme in una manifestazione oceanica.
Quale futuro
«Il movimento ha espresso chiaramente la sua volontà di dialogo – ha dichiarato il leader studentesco Giorgio Jackson – ma se Sebastian Pià±era non accetta queste condizioni basilari passerà alla storia come il presidente che non ha saputo ascoltare la voce del suo paese»
Pià±era, il presidente-miliardario subentrato a Michelle Bachelet nel dicembre 2010, conta sulla stanchezza del movimento e sulle eventuali divisioni interne. Fin dall’inizio, ha scelto il pugno di ferro mandando i suoi carabineros a caricare i manifestanti. Dall’inizio delle mobilitazioni e dopo l’ultima manifestazione di protesta per ricordare il golpe cileno dell’11 settembre 1973, gli arresti sono già oltre 1.000. Il 5 agosto, ci ha rimesso la vita un quattordicenne, ucciso dalla polizia in un quartiere popolare. Da allora, Pià±era, la cui popolarità è precipitata nei sondaggi, ha abbinato mano dura e dichiarazioni demagogiche: fino ad ammettere che nel paese «esistono livelli eccessivi di disuguaglianza» (il Cile figura tra i 15 paesi più iniqui al mondo). Il movimento è ampio e ha consenso, ma senza qualche risultato non reggerà all’infinito. La grande spinta al cambiamento che ha messo in moto – la più importante dalla fine della dittatura, nel 1990 – ha però messo sotto accusa un modello di sviluppo e di dominio che sembrava inamovibile. Il suo respiro potrebbe essere più lungo.
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