Downgrade, manovre e titoli pubblici le pericolose coincidenze Grecia-Italia

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MILANO – Prima raccomandazione: tocchiamo ferro. Seconda: ricordiamoci che Atene non è Roma. Le coincidenze però iniziano a essere molte. E le ultime convulsioni della crisi italiana (manovre a ripetizione, tagli di rating, cartellini gialli della Ue, spread in fibrillazione e un Pil in frenata) somigliano sempre più, facendo i debiti scongiuri, al copione della tragedia che ha portato la Grecia sull’orlo del default. Con un ritardo temporale – per fortuna – di 18 mesi che ci potrebbe consentire (in teoria) di prevenire gli errori ellenici.
Il primo atto del dramma sotto il Partenone è, nel novembre 2009, un fulmine a ciel sereno: il governo Papandreou, appena eletto, annuncia che i conti del paese sono truccati. Risultato: il rapporto deficit/Pil non è del 6% ma del 12,7%. I mercati però mantengono il sangue freddo. Lo spread tra decennali greci e bund veleggia a quota 170 (i Btp sono a 30, un livello che oggi ci sogniamo) in attesa fiduciosa delle mosse dell’esecutivo e del paracadute di Bruxelles.
I guai – e partono le similitudini tra i due paesi – iniziano qui. Tagliare non è facile. Né per un governo fresco di nomina (come quello del Pasok) né per uno già  un po’ stagionato come quello Berlusconi. E la prima toppa non basta a tappare il buco né di qua ne di là  dell’Adriatico. Atene ci prova a inizio 2010 con un piano di privatizzazioni da 2,5 miliardi. Roma, sette mesi più tardi, con la manovra da 25 miliardi che punta al pareggio di bilancio nel 2014. Per la Grecia, malata più grave, iniziano tre mesi d’inferno. La speculazione fiuta sangue. Papandreou è troppo timido, la Ue è divisa. La corsa contro i mercati è subito ad handicap: a febbraio il differenziale tra decennali ellenici e Bund è a quota 350 (più o meno i nostri valori attuali). Il governo rincorre con la prima manovra: tagli agli stipendi pubblici, tasse sui carburanti, rialzo dell’età  pensionabile. Troppo poco, troppo tardi. Lo spread sale a 450.
Un po’ (guarda caso) com’è successo in Italia con la manovrona da 47,9 miliardi di due mesi fa – ingredienti accise sulla benzina, bollo sui depositi, ritocchi alle pensioni e colpi di lima alla pubblica amministrazione – che sul fronte dei tassi ha avuto l’effetto di un placebo: la forbice tra Btp e Bund è salita a 317 dal 100 di inizio anno e il rendimento dei Bot annuali al 3,67%, due punti in più di un anno prima.
La sceneggiatura – fatta salva la licenza cronologica – prosegue in fotocopia nei due paesi. I tassi salgono, mancano misure per la crescita, i conti peggiorano. E scende in campo la Ue. A marzo 2010 chiede a Papandreou nuove misure d’austerity. Lo stesso messaggio recapitato con una garbata missiva lo scorso agosto al governo Berlusconi. Il leader del Pasok impugna l’accetta e prova a colpire più duro: taglio del 7% alle buste paga degli statali cui toglie 13esima e 14esima, contributo di solidarietà  dei ricchi, più tasse sui carburanti e un ritocco dell’Iva. Stesso menu, più o meno, somministrato agli italiani con la manovra da 54 miliardi della scorsa settimana. Cambiano i fattori (geografici), non il risultato: lo spread ellenico arriva a 450, un valore che noi stiamo avvicinando in questi giorni.
Il seguito è scritto per ora solo sulla pelle dei cittadini ellenici. Con un crescendo segnato da una coazione a ripetere – speculatori davanti, Bruxelles ed Atene ad inseguire – da cui abbiamo solo da imparare. La Troika ad aprile 2010 ha lanciato un primo salvagente da 110 miliardi alla Grecia. Papandreou, pressato da Bruxelles, Fmi e Bce, ha varato (ma attuandole al ralenti) due altre manovre durissime con parole d’ordine – patrimoniale, ritocchi all’Iva, condono, colpi d’accetta al settore pubblico – che rieccheggiano da mesi pure da noi. Risultato: sei tagli di rating in un anno (sono iniziati anche in Italia) consumi fermi, recessione garantita fino al 2014, un buco supplementare di 4 miliardi in bilancio, i tassi sui titoli decennali al 22% e lo spettro del crac sempre più reale. L’ultimo atto è ancora da scrivere su entrambi i palcoscenici. Tutti sperano nel lieto fine. Per la Grecia, il rischio che finisca in tragedia – nella miglior tradizione ellenica – è purtroppo alto. L’Italia, forte degli errori altrui, ha tempo e risorse per rimediare. Ma da noi, con i tempi che corrono, il rischio è che finisca in farsa.


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