Già  in bilico la tregua premier-Tremonti

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Prima di capire chi sarà  il governatore di Bankitalia, c’è da capire chi è il presidente del Consiglio. Perché il braccio di ferro tra Berlusconi e Tremonti sul successore di Draghi segnala come lo scontro tra i due non sia cessato, e che — nonostante l’appello di Napolitano a tenere l’Istituto di via Nazionale fuori dalla disputa politica — attorno al nome del prossimo inquilino di Palazzo Koch si sta giocando l’ultima partita tra il Cavaliere e il superministro.
Il danno che si sta arrecando al prestigio di Palazzo Koch non è tanto causato dalle divergenze sulla scelta, quanto dal modo in cui il premier e il responsabile dell’Economia si stanno muovendo. Talmente plateale è il duello, infatti, da aver costretto Bankitalia a uscire allo scoperto per difendere la propria autonomia. Anche su questo si è soffermato Draghi durante l’incontro con Berlusconi a palazzo Chigi. E dinnanzi alle preoccupazioni espresse dal futuro presidente della Bce, il premier avrebbe inteso dare un segnale, anticipando la volontà  di sciogliere presto — forse già  oggi — le proprie riserve a favore di Saccomanni, attuale direttore generale della Banca d’Italia, definito «persona preparata, seria e posata».

Così si porrebbe fine alla disputa tra Berlusconi e Tremonti, che tuttavia non demorde e continua a sostenere la candidatura a via Nazionale del direttore generale del Tesoro, Grilli. Nel corso della cena a casa del Cavaliere, l’altra sera, il suo pressing sembrava avesse fatto breccia sul premier. Pur di riuscire nell’intento il superministro si era portato appresso Bossi e quasi tutto lo stato maggiore della Lega, mettendo di fatto in minoranza il segretario del Pdl Alfano e costringendo al silenzio Gianni Letta.

«C’è una qualche opposizione al nome di Grilli», aveva esordito a tavola Berlusconi. «Non ne vedo le ragioni», aveva replicato Tremonti. «Giulio, cerca di capire. Dobbiamo pensare ai mercati». «E perché mai i mercati dovrebbero prenderla meglio se ci fosse Saccomanni e non Grilli alla Banca d’Italia?». «Alla fine della cena — raccontava ieri il ministro della Lega, Calderoli — per Grilli era praticamente fatta. Poi…».

Poi è partita la controffensiva nel Pdl. Dalle più alte cariche fino all’ultimo parlamentare, passando dai ministri e dai dirigenti di partito, si è scatenata un’autentica rivolta. Quando Bossi ha dato pubblicamente il suo sostegno al nome di Grilli, una sorta di cordone sanitario è stato steso attorno a Berlusconi. E (quasi) tutti ripetevano lo stesso concetto: «Se Silvio cede a Tremonti sul Governatore, sarà  la sua definitiva Caporetto».

In quel momento è parsa visibile la frattura insanabile tra il Pdl e il titolare di via XX settembre, frattura che oggi dovrebbe essere sancita da un vertice, dove (informalmente) verrà  dato sostegno alla scelta di Berlusconi. Ma ieri, in quel frangente, la partita su palazzo Koch non era ancora chiusa, e nelle pieghe di un governo in difficoltà  fiorivano le tesi più disparate, dall’idea di un «terzo uomo» con cui superare lo stallo tra Saccomanni e Grilli, all’ipotesi irrealistica che Berlusconi proponesse entrambi i nomi al Consiglio superiore della Banca d’Italia.

E nella battaglia non era coinvolta solo la politica, se è vero che a favore del direttore generale del Tesoro si sarebbe mossa la finanza internazionale, comprese alcune importanti società  di rating. Così come si sarebbe mosso il Vaticano, promotore di una discreta (e insistente) attività  di sponsorizzazione a favore di Anna Maria Tarantola, membro cattolico del direttorio di Bankitalia.

Il faccia a faccia tra Berlusconi e Draghi ha rimesso ordine alla vicenda, diventata ormai imbarazzante per le istituzioni. Il successivo colloquio avuto dal Cavaliere con Tremonti non ha però quietato il superministro, durissimo nel commentare la scelta di Saccomanni e soprattutto l’attivismo del futuro presidente della Bce: «Non è pensabile che Draghi faccia il giro delle sette chiese per imporre il nome del suo successore. Cedere ai suoi voleri è follia». Secondo Tremonti, Grilli sarebbe il Governatore che «serve al Paese» per «fronteggiare gli euroburocrati» e per non darla vinta al «nemico» che nei suoi ragionamenti ha le sembianze di Draghi, «l’agente tedesco».

Parole pesanti in un clima pesante nel governo, con i ministri sul piede di guerra con il titolare dell’Economia ma anche con Berlusconi. Perché se è vero che Tremonti sembra sul punto di perdere il duello su Bankitalia, è altrettanto vero che ieri l’inquilino di via XX settembre ha presentato al premier il decreto con i tagli ai dicasteri, costringendolo a firmare. Altro che cabina di regia, altro che collegialità : si tratta di un provvedimento «chiavi in mano» sul quale i colleghi di Tremonti non hanno potuto mettere il becco. Prendere o lasciare. E il Cavaliere ha dovuto prendere. I responsabili di quasi tutti i dicasteri, sbigottiti, sono saliti subito sulle barricate.

È tale lo scompiglio che il Consiglio dei ministri non è stato ancora convocato. Gianni Letta sta cercando di porre riparo allo sbrego, sebbene lui stesso sia irritato con il Cavaliere, perché costretto ieri mattina a partecipare al tavolo delle infrastrutture organizzato all’Economia, «mentre si sarebbe dovuto tenere a palazzo Chigi». Questa sarebbe la «tregua operosa», come la definisce Tremonti, che osservando il gran da fare dei colleghi sul decreto per lo sviluppo ha commentato: «Stanno facendo solo casino».


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