In Parlamento “processo” ai pm di Napoli così il Pdl scatena la sua controffensiva

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ROMA – Una nuova interpellanza urgente, a Montecitorio, contro la procura di Napoli. O quanto meno un’integrazione a quella contro la fuga di notizie di venerdì. Contro Lepore, Woodcock, Curcio e Piscitelli. La squadra che lavora al caso Lavitola-Tarantini. Stavolta sul «come» e sul «perché» sono stati scelti, e poi interrogati, alcuni testimoni. Prima tra tutti la segretaria particolare del Cavaliere Marinella Brambilla. Promotore sempre Enrico Costa, il capogruppo in commissione Giustizia della Camera di cui Niccolò Ghedini, l’avvocato del capo del governo, si fida ciecamente. Co-firmatario Manlio Contento, un altro degli avvocati, ex-An stavolta, della scuderia pidiellina. Obbligo per il Guardasigilli Nitto Palma non solo di rispondere immediatamente, già  giovedì prossimo, al più tardi martedì 20 settembre, visto che lo strumento dell’interpellanza urgente lo esige. Ma anche di accelerare i tempi sulla decisione se inviare oppure no gli ispettori nella procura partenopea, proprio come hanno già  chiesto Costa e Contento.
Il metodo è sperimentato. L’occasione si presta. Usare la politica, e in particolare il Parlamento, per “fare il processo” alla magistratura “che processa”. Per confondere le idee, intorbidare le acque, gettare il sospetto della persecuzione giudiziaria, della scorrettezza istituzionale, della distorsione delle regole. In una parola, di Berlusconi ancora “vittima” di un complotto. Come a Milano, a Bari, a Trani. E adesso a Napoli. Contro i pm che vorrebbero sentire Berlusconi al momento vittima di un’estorsione (quasi un milione di euro per “aiutare” Lavitola e Tarantini), dimostrare che quei pm non sono sereni. Che quell’inchiesta punta soltanto a danneggiare Berlusconi.
L’ordito è di Ghedini, ovviamente. Ed è quello di sempre. Far camminare, di pari passo, la difesa dentro il palazzo di giustizia e quella nelle aule parlamentari. Stavolta con un’urgenza particolare visto che di mezzo c’è l’interrogatorio del suo assistito ed è necessario creare le condizioni politiche per “sfilarlo” dall’appuntamento con delle ragioni che convincano, in primo luogo, tutto il Pdl e l’opinione pubblica.
Era già  una settimana difficile quella del partito alla Camera. Con Napoli diventa da elmetto. Milanese, Papa, lo spartiacque determinante della decisione sul “processo lungo” e sulle intercettazioni. Un mix esplosivo. E anche contraddittorio. Tale da far perdere il già  raro sorriso al capogruppo Fabrizio Cicchitto. Lo snodo del deputato Marco Milanese, fino a ieri uomo di Giulio Tremonti, è alle viste. Sempre Napoli lo vuole in manette. Tra domani e mercoledì è in giunta per le autorizzazioni. Per l’autodifesa. Ufficialmente, il Pdl è per il no all’arresto. Lo conferma il capogruppo Maurizio Paniz. Lo stesso che, con Costa, considera «una grave ingiustizia» la permanenza in carcere, dal 20 luglio, di Alfonso Papa. Sempre Napoli. Neanche a dirlo. Studiano, i due, come andarlo a trovare ufficialmente. Come mostrargli concreta solidarietà . Ma di mezzo ecco Milanese. Come non arrestare lui se Papa è dentro visto che le accuse per Milanese sono pure più gravi? I mal di pancia sono da colica.
Nelle stesse ore si deve decidere, ma Ghedini non ha ancora sciolto le sue riserve, se mandare avanti il “processo lungo”, la prescrizione breve, le intercettazioni. Cosa serve in questo momento? Tutto è in stand by. La priorità  è “salvare Silvio” da Napoli, da una nuova, possibile, incriminazione. È necessario creare le condizioni, questo spiegano le fonti Pdl, per stoppare Napoli il prima possibile. Trasferendo il processo in un’altra sede. Magari a Roma. Dove è pur vero che s’indaga sulla P3, ma dove per il caso Saccà  che arrivava da Trani, le intercettazioni delle veline sono state prontamente distrutte. Ghedini, Costa-Contento, Palma. Da questa filiera Berlusconi si aspetta un colpo deciso e decisivo per mettere una zeppa ben grossa alla procura di Napoli.


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