“Ricatti e affari”, il sistema Lavitola. E il premier: io spiato, via dall’Italia

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Da un lato il proprietario e direttore della testata Avanti!, che fu organo del Psi, si adoperava per aumentare le ansie giudiziarie del premier, e dall’altro provava a dirigere a proprio vantaggio le mosse processuali di Gianpaolo Tarantini, divenuto famoso per aver accompagnato donne a pagamento nelle residenze del capo del governo. E che al capo del governo poteva e potrebbe procurare qualche problema se dai fascicoli ancora segreti uscissero, nel processo barese a suo carico, le telefonate tra lui e Berlusconi; «ricordo che erano politicamente… mediaticamente pesanti», dice Tarantini a Lavitola in una telefonata.
È questo l’oggetto della trattativa nella quale Lavitola prendeva da Berlusconi i soldi per addomesticare Tarantini, ma al tempo stesso li nascondeva a Tarantini trattenendone per sé una buona fetta. Così si muoveva, nella ricostruzione dei pubblici ministeri napoletani, questo «soggetto senza scrupoli che non sembra fermarsi davanti a nulla», e nel suo ufficio romano di via del Corso tiene in bella vista le foto sue e del figlio in compagnia del premier.
«Nauseato da questo Paese»
Con Berlusconi Lavitola giocava al rialzo, puntando sui rischi che il presidente del Consiglio poteva correre nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta P4, dove peraltro è indagato Lavitola e non Berlusconi. Che infatti gli dice: «Non me ne fotte niente, capito?».
È la conversazione intercettata il 13 luglio scorso, alle 11 e un quarto di sera, nella quale il premier si lancia in un autentico sfogo: «Io sono assolutamente tranquillo… a me possono dire che scopo, è l’unica cosa che possono dire di me, è chiaro? Mi mettono le spie dove vogliono, mi controllano le telefonate… non me ne fotte niente… Io tra qualche mese me ne vado per i c… miei… da un’altra parte e quindi… vado via da questo Paese di m… di cui sono nauseato… punto e basta».
Lavitola ascolta la sfuriata, ma prova ugualmente a mettere qualche preoccupazione in testa al premier, puntando su quello che può dire Luigi Bisignani, l’uomo d’affari amico di Gianni Letta arrestato nell’indagine sulla P4: «Quello str… sapeva sempre in anticipo le questioni che potevano riguardare anche lei (…) Quando Letta le disse che io ero il centro di questa cosa e invece era Bisignani… Non è assolutamente da escludere che questo delinquente qui (Bisignani, ndr) strumentalizzasse Letta… Allora siccome questo adesso finirà  nei guai fino al collo…». Berlusconi, però, non fa trapelare apprensioni: «Ma non sa niente delle vicende di Letta… perché Letta è la persona più pulita e più onesta del mondo, quindi io non ho nessun timore di nulla… che riguardi Letta».
Ma Lavitola insiste leggendo al premier le conclusioni di una sua relazione che gli aveva inviato qualche giorni prima: «Bisignani è senza dubbio uomo di Letta… tramava contro Berlusconi… e teneva rapporti operativi contro nemici vero… forse veri… Bocchino, D’Alema, De Bortoli, Montezemolo». Berlusconi: «Teneva rapporti con tutti… non… con ogni mio nemico… teneva rapporti con tutti… non ha mai fatto niente contro di me». E Lavitola: «No dottore, non è così…», e di fronte al muro sollevato dal presidente del Consiglio si arrende: «Io vorrei semplicemente che lei fosse sciente… Dottore, io mi preoccupo semplicemente… delle notizie che ho di cercare di fargliele pervenire…».
«Tarantini mi ha detto…».
Poco dopo passa a parlare di Tarantini: « Mi diceva il ragazzo… Gianpi… che aveva avuto notizie dagli avvocati… che a Bari… stiano facendo un’indagine contro Laudati (procuratore di quella città , ndr), e dove sarebbe coinvolto Nicolò (probabilmente Ghedini, avvocato del premier, ndr)… non so bene così la storia… mo’ mi faccio dire tutto», e Berlusconi taglia ancora corto: «Sì vabbè, ma insomma… tutto per aria… Poi?».
Poi Lavitola passa ad altri argomenti fino ad arrivare alla vacanza programmata ai Caraibi, possibilmente sulla barca di Berlusconi: «La vogliamo portare a Panama?», suggerisce, ma il premier lo frena: «È già  a Miami, grazie». Lavitola: «Ah, peccato… ma dico, qualche giorno a Panama non la può mandare?…. Mi faceva fare qualche giro a me, lei m’aveva detto…». E Berlusconi: «Ma non a Panama… puoi farlo a Miami… compatibilmente col programma dell’estate… dovresti avvisarci, perché credo che ci vada una volta una mia figlia…».
La telefonata si conclude con ringraziamenti e saluti, fino al consiglio finale di Lavitola a Berlusconi: «Tenga gli occhi aperti». Peccato che appena una settimana prima, parlando con Tarantini dell’ipotesi che l’ex imprenditore barese patteggi la pena nel processo per favoreggiamento della prostituzione in modo da mantenere segrete le telefonate «pesanti» tra lui e il premier, Lavitola giochi tutt’altra partita. Almeno secondo l’accusa, che riporta la sintesi della telefonata intercettata il 5 luglio: «Valter prosegue dicendo che il loro obiettivo è che Gianpaolo non andrà  al patteggiamento (…) Valter prosegue dicendo che lui deve sempre rifiutare il patteggiamento se gli chiederanno, ed eventualmente dire: “L’unica persona al mondo con cui ne parlo è col presidente (cioè Berlusconi, ndr), standoci Lavitola e Perroni (avvocato di Tarantini e di Berlusconi in alcuni processi, ndr) davanti, e nessun altro».
«Con le spalle al muro»
Nella ricostruzione della Procura fatta propria dal giudice, Lavitola tende ad aumentare il prezzo dell’estorsione, e in questa logica «ogni accensione di riflettori» sull’inchiesta barese che preoccupa Tarantini «viene invece salutata da Lavitola che dice “più m…. c’è meglio è”, in quanto ritiene che il disegno promosso possa più facilmente realizzarsi». Il disegno è ottenere ulteriori vantaggi dall’eventuale patteggiamento di Tarantini, anche approfittando delle difficoltà  di Berlusconi su altri piani: «La minaccia posta in essere dal Lavitola e dai suoi sodali nei confronti del presidente Berlusconi assume connotazioni di straordinaria gravità  proprio perché “larvata” e “subdola”; tale circostanza risulta ben evidente se si valuta la situazione in concreto, facendo riferimento anche alla contingente e attuale fase politica, elemento quest’ultimo che assume una rilevanza tutt’altro che trascurabile». Ad aggravare l’intimidazione, secondo il giudice è «la prospettazione al presidente del Consiglio Berlusconi (non solo già  più volte coinvolto in “scandali” e in vicende omogenee rispetto a quella in esame ma anche “oggetto” di un procedimento penale innanzi all’autorità  giudiziaria di Milano riguardante fatti indubbiamente collegati) che possano essere diffusi o peggio ancora trasmessi a Milano atti e documenti per lui compromettenti versati nell’incartamento processuale del procedimento penale barese riguardante Tarantini Gianpaolo… Sul punto appaiono incontrovertibili ed univoche le lunghe conversazioni telefoniche intercettate tra il Lavitola e il Tarantini dalle quali si evince chiaramente come in particolare il Lavitola si prefigga di tenere sulla corda il Presidente Berlusconi fino a metterlo “con le spalle al muro”, o di metterlo “in ginocchio, “andargli addosso”, “tenerlo sulla corda”, “tenerlo sotto pressione”».
Oltre alle vicende giudiziarie parallele di Berlusconi e Tarantini, le intercettazioni di Lavitola svelano rapporti, consulenze e collaborazioni con aziende pubbliche che il giornalista-imprenditore è riuscito a ottenere: «È emerso uno stretto collegamento tra il Lavitola e alcune società  del gruppo Finmeccanica operanti prevalentemente all’estero quali, ad esempio, Augusta, Selex e Telespazio Brasile. Nell’operare per conto delle predette società , l’indagato intrattiene un livello di relazioni molto alto, nell’esercizio delle quali pone in essere non meglio precisati movimenti di danaro…. D’altra parte il Lavitola non esaurisce la sua collaborazione con le società  del gruppo Finmeccanica ma risulta intrattenere rapporti con altre società  pubbliche sempre operanti all’estero, come ad esempio Raitrade». Per i magistrati si tratta di veri e propri «affari loschi», nei quali sono comprese «la malversazione, il dirottamento e l’utilizzo per finalità  diverse dei fondi e dei finanziamenti erogati dallo Stato al quotidiano l’Avanti! dal Dipartimento dell’editoria della Presidenza del Consiglio».
Nelle intercettazioni Lavitola disegna scenari politici come quando, parlando un tale Roberto, dice: «Io sto spiegando ai due fronti, e vedrai che questa cosa sarà  utile per uscire dalla m… che noi abbiamo Letta e Tremonti, che non è vero che sono in lite, Letta e Tremonti sono in accordo, l’unica lite che c’è è chi deve fare il Presidente… poi Letta al Quirinale e Tremonti a Chigi». E citando le inchieste giudiziarie di cui parlano i giornali sostiene: «Io c’ho la Sarzanini che segue queste cose e riporta il minimo indispensabile».
Ma per i magistrati ciò che importa è «la “speciale vicinanza” che il Lavitola risulta intrattenere con Silvio Berlusconi», grazie alla quale diventa interlocutore di molte altre persone. Come «tale Roberto Guercio», che il 21 giugno scorso lo cerca per chiedergli di far sì che Berlusconi telefoni al premier albanese Sali Berisha: «Serve che il presidente chiami Berisha e gli dica che vado lì a parlare per la questioni delle dighe…». Sono giorni difficili per il governo e Lavitola propone: «Chiamalo da parte di Berlusconi, gli dici il presidente Berlusconi mi ha autorizzato a chiamare direttamente».


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