Bersani cerca Casini: intesa su punti chiave

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ROMA — A un certo punto, verso la fine del discorso, Berlusconi «apre» alle opposizioni: «Chi vuole fare proposte concrete e discutere…». Ciò detto, si volta, spontaneamente, alla sua sinistra, e contempla lo spettacolo amaro di tutti quei banchi vuoti.

Il colpo d’occhio architettato dai quattro partiti di opposizione — Pd, Idv, Udc, Fli — ha funzionato. Ci sono solo i sei deputati radicali, lassù in cima, vedette solitarie. Nessuno dei 290 deputati d’opposizione neanche in transatlantico, a parte Rosy Bindi, che è vicepresidente della Camera e deve aspettare l’arrivo di Fini, al di qua della soglia dell’Aula. Bindi poi va via, sibilando all’indirizzo dei Radicali: «Fino a quando il mio partito dovrà  sopportare queste umiliazioni?».

Al secondo piano del palazzo dei gruppi, la Bindi raggiunge Bersani, D’Alema, Fioroni e Soro nella stanza del capogruppo Franceschini: seguono Berlusconi in tv. «Discorso penoso», dice Bersani alla fine. Casini è nella sua stanza al quinto piano bis, Di Pietro è al partito, dietro la galleria Colonna.

Le quattro opposizioni si sono mosse con disciplina. E ieri al Senato i quattro capigruppo hanno approvato un patto di «raccordo parlamentare». Ora dovrebbe cominciare il consolidamento. «Quello di oggi — analizza Bersani — è stato un gesto nuovo, ma da qui a un’opposizione unita la strada non è facile». In serata, spiega che il Pd punta su un’alleanza tra progressisti e moderati, da Vendola a Casini. Non una nuova Unione, ma un accordo per una dozzina di riforme. E il candidato per le primarie di coalizione del centrosinistra «lo sceglierà  il partito, niente primarie dentro il Pd». Messaggio in particolare per Renzi che ieri aveva detto: «Il governo non ha la minima intenzione di andare a casa, di fronte a questo diventa irrilevante ciò che intende fare l’opposizione».

Da una parte c’è Casini, cautissimo, che ieri ha precisato: «Il terzo polo e il centrosinistra sono entità  diverse, che hanno ritenuto opportuno segnalare insieme il disagio del Paese». Casini, dal centro, tiene lo sguardo anche sul centrodestra. Rivolge quasi un appello: «La strategia di Berlusconi è puntare al voto nel 2012 e poi non ricandidare metà  dei parlamentari che voteranno per lui. Uomo avvisato mezzo salvato…». Dall’altra parte si trova Di Pietro, alleato quasi indigeribile per l’Udc, che forza la mano. Annuncia che parteciperà  alla manifestazione del Pd del 5 novembre e si candida alle primarie per il prossimo leader del centrosinistra. Di Pietro continua ad approvare l’operato del presidente della Repubblica, mentre è da un’altra gamba dell’opposizione, dal partito del presidente della Camera Fini, che arrivano riserve: «Berlusconi doveva andare al Quirinale — dice Bocchino —. Non avendolo fatto sarebbe stata opportuna una convocazione da parte del Colle per un percorso meno all’acqua di rose».

Bersani continuerà  a provarci: «Quelli che storcono il naso di fronte a possibili alleati devono però dire cos’altro fare». Sul futuro immediato prevede: Berlusconi «ha messo le fondamenta per mangiare il panettone e arrivare al rush finale» per le elezioni.

Oggi le opposizioni compatte non faranno dichiarazioni sulla fiducia chiesta da Berlusconi e voteranno «no».


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