Chi lo ha ucciso? «È stato un ragazzo con una calibro 9»

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WASHINGTON — Per Muammar Gheddafi i ribelli erano «ratti». Ma è stato lui a fare la fine del topo, scovato all’interno di una conduttura sotto una strada a Sirte. L’ultimo atto della ribellione libica è stato caotico come lo sono stati questi mesi e l’unica cosa certa è la morte della Guida. Ma su come si sia consumata l’agonia del Colonnello restano delle ombre. Sospetti di un uccisione a freddo suscitati dalle immagini girate con i telefonini. Video che mostrano Gheddafi subito dopo la cattura: è sanguinante, cammina sorretto dai suoi avversari. Poi lo ritraggono immobile, in apparenza senza vita.
L’attacco
È mattina presto. I lealisti cercano di sottrarsi all’accerchiamento a Sirte. Un corteo di auto si dirige verso sud ma viene intercettato dagli insorti. «La terza vettura, una Toyota Corolla verde ha fatto una deviazione, seguita a ruota dalla quinta auto. È all’interno della Toyota che si trovava Gheddafi che, una volta circondato, è sceso ma è stato colpito all’addome e alla testa». Questa la prima ricostruzione dell’ambasciatore libico in Italia Abdul Gaddur. «Siamo stati noi a individuarlo e attaccarlo», precisa il responsabile dell’Informazione Shamman. Dunque un’operazione condotta dall’opposizione e, in particolare, dalla brigata Misurata. Scenario iniziale scompaginato quasi subito dal coinvolgimento diretto della Nato. Abu Bakr Al Frinjani, uno dei dirigenti militari a Sirte, è il primo ad ammetterlo: «Gheddafi è rimasto ferito gravemente in seguito a un bombardamento degli alleati». L’Alleanza non tace e si affida alle parole del Colonnello Roland Lavoie: «Alle 8.30 un nostro aereo ha centrato due veicoli di un convoglio più ampio». Poi arrivano i francesi, sempre pronti a tirare la volata nella campagna libica: «È stato un nostro aereo a bloccare il lungo corteo di mezzi». In serata tocca agli americani rivendicare: «C’era anche un nostro velivolo senza pilota a bombardare». L’Alleanza così si prende una parte del merito, ma è ben felice di lasciare il successo agli oppositori per motivi diplomatici e di opportunità . È ben noto che la Nato ha schierato commandos, aerei senza pilota, satelliti spia e il meglio della tecnologia per dare la caccia al Colonnello. Altri soldati hanno guidato da terra gli attacchi e si sono messi sulla tracce del Colonnello pronti a segnalare la sua presenza. Un network di supporto a incursioni mirate prima su Tripoli e poi su Sirte. Era evidente che il bersaglio fosse Gheddafi. «Noi non vogliamo ucciderlo ma se capita (di ucciderlo)…» è stata la foglia di fico sotto la quale nascondere la polemica sul diritto di eliminare o meno un leader straniero.
Il tunnel
Come mai il Raìs e i suoi compagni di avventura si sono infilati nella conduttura? La scelta del nascondiglio è la reazione disperata di chi finisce sotto un bombardamento aereo. E quanto raccontato dalle fonti alleate spiega cosa sarebbe avvenuto: sorpresi da caccia e Predator, i lealisti cercano riparo nei due tunnel che passano sotto la strada. Una scena da film. Arrivano gli insorti che si avvicinano al nascondiglio e aprono il fuoco centrando il Colonnello e il suo piccolo seguito. Protagonista — secondo fonti giornalistiche — è il ventenne Mohammed Al Bibi: disarma il Colonnello impossessandosi di una pistola dorata e poi, forse, spara insieme ad altri contro il nemico. Magari potrà  chiedere di riscuotere la taglia da 20 milioni di dollari. Sulla strada restano almeno 15 mezzi inceneriti e ben 50 cadaveri, nessun cratere. I velivoli che hanno colpito lo hanno fatto con precisione e, visti i numeri, è probabile che fossero ben più di due. Oppure c’erano anche degli elicotteri d’attacco.
La fine
Come è morto Muammar Gheddafi? Nella prima versione gli oppositori affermano che è spirato per le ferite mentre lo stavano portando a Misurata. Un racconto che poteva starci, in fondo c’era stata una battaglia. Invece spuntano i video che mandano all’aria quella versione. I ribelli che sono lì registrano quei momenti sul telefonino. Immagini crude. In una il Colonnello ha la testa appoggiata alla gamba di una persona. Sanguina. In una seconda appare riverso sul cofano di una jeep. Lo tirano giù e lui sta in piedi, anche perché dei guerriglieri gli fanno da stampella. Si sente gridare due volte: «Tenetelo in vita». Poi degli spari. Il Raìs non si vede più. Riappare in altre clip. È per terra a torso nudo, non si scorge la ferita al torace, c’è però del sangue dietro la nuca. Lo girano e rigirano. Sembra davvero morto. Ancora un microfilmato del dittatore. Giace all’interno di un veicolo, si nota chiaramente una ferita all’altezza della pancia. Il Consiglio di transizione è sulla difensiva. E nella notte corregge la prima versione con un rattoppo frettoloso: stavamo portando Gheddafi in ospedale quando l’ambulanza è stata coinvolta in una sparatoria con i lealisti e una pallottola lo ha centrato alla testa. Fonti anonime confidano alla Reuters: «Lo hanno picchiato e fatto fuori». Chi gli ha sparato? Un ufficiale ribelle precisa in tv: un nostro militare con una calibro 9. La stessa pistola — rilanciano i media — che impugnava il ventenne Mohammed. Ma probabilmente sono altri che hanno inferto il colpo di grazia. E il Colonnello poteva essere curato? Interrogativi che spingono «Amnesty International» a sollecitare un’indagine, ma che non preoccupano i libici. Dopo decenni di massacri, ritengono che giustizia sia fatta. E sono rilassati anche coloro che temevano un possibile processo-show del Raìs: avrebbe avuto tante cose da raccontare.


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