E Maroni si smarca dai falchi “Criminali senza legami a sinistra”

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ROMA – Totalmente slegati dai partiti di sinistra, anche estrema. Provenienti dai centri sociali ma senza ideologie o cattivi maestri. Del tutto indipendenti e in grado di muoversi sotto traccia. È questo l’identikit politico dei black bloc che ieri hanno messo a ferro e fuoco Roma. Al Viminale si cerca di ricostruire il pomeriggio di guerra depurando i fatti dalla polemica tra maggioranza e opposizione divampata mentre le strade della Capitale bruciavano. Il ministro degli Interni, Roberto Maroni, dopo aver espresso solidarietà  alle forze dell’ordine ha condannato «l’inaccettabile violenza ad opera di criminali infiltrati tra i manifestanti». Con i suoi collaboratori è stato ancora più esplicito: «Quella che abbiamo dovuto fronteggiare è stata una violenza assolutamente inaudita». Della quale, annuncia il sindaco Alemanno, in settimana Maroni riferirà  in Parlamento.
Poche ore dopo gli scontri si cerca di capire come la situazione sia potuta arrivare a tanto. Una prima falla era attesa già  alla vigilia è riconducibile alla matrice politica degli organizzatori: la marcia degli indignati non era protetta da un vero e proprio servizio d’ordine al contrario delle manifestazioni classiche, quelle in cui c’è un partito o un sindacato che si intesta la protesta e dota i cortei di una scorta. Gli uomini di Maroni la spiegano così: «La cosa paradossale rispetto ai cortei degli anni settanta è che allora il servizio d’ordine era organizzato ed efficiente. In questo caso, invece, quelli organizzati erano i violenti». Lo dice chiaro e tondo il capo della Polizia Antonio Manganelli: «Erano gruppi di teppisti criminali».
Tutti italiani, ma non romani, in gran parte frequentatori dei centri sociali. Gente che si muove «autonomamente», spiegano gli esperti del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo del ministero degli Interni. I primi approfondimenti parlano di «scenario completamente diverso rispetto a quello di Genova, con gruppi di violenti scollegati da tutto e da tutti, senza alcuna ideologia o riferimento politico nemmeno nei partiti della nella sinistra radicale». Cani sciolti ma efficienti, come testimonia il fatto che ieri sera al ministero non era ancora arrivato nessun rapporto da parte dei servizi. «Il che dimostra la loro autonomia rispetto alle forze politiche e la loro capacità  di muoversi sotto traccia». Considerazioni che fanno preoccupare gli esperti del ministero degli Interni se c’è chi parla di fenomeno assimilabile a una sorta di «nuovi brigatisti o pre-brigatisti», un embrione dal quale sgorga «una violenza che può degenerare». Specialmente nei prossimi mesi, quando la crisi economica potrebbe mordere ancora di più.
Analisi condivise dal ministro leghista Bobo Maroni, che ieri ai suoi collaboratori – dopo avere letto le accuse che dal centrodestra (ad esempio La Russa) rivolgevano all’opposizione, additata come responsabile della guerriglia – spiegava come in realtà  «tra i black bloc e i partiti del centrosinistra non c’è alcun legame». Impietosa l’analisi riservata del titolare degli Interni, che si dice «in disaccordo con chi parla di cattivi maestri della sinistra. I partiti di sinistra, anche radicale, in realtà  sono le vittime di quanto successo». E pazienza se La Padania, quotidiano della Lega, oggi titola «La sinistra violenta sfascia e vuole uccidere». D’altra parte Maroni sa di cosa parla visto che – svelano i suoi – nei giorni scorsi è stato in contatto anche con i vari leader politici, compreso quello di Sinistra e Libertà  Nichi Vendola. Come lui anche il capo della Polizia Manganelli, e il giudizio è condiviso: «Sono lontani anni luce» dagli incappucciati di Piazza San Giovanni.


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