Fmi: la guerra è costata ai libici 35 miliardi di $

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 La guerra in Libia è costata 35 miliardi di dollari ai 6 milioni e mezzo di cittadini libici, circa il 50% del Pil del Paese che nel 2010 superava i 70 miliardi di dollari. Un disastro epocale. Sono le stime denunciate del Fondo Monetario Internazionale, nel cui report si legge che il sistema bancario non può fornire i finanziamenti necessari, mettendo la Libia in grave difficoltà  nel pagare le importazioni. Ma non è chiaro se servirà  il sostegno del Fmi, perché la Libia conta sulle riserve petrolifere e su un patrimonio costruito negli anni. «Non ci sono richieste. Tutto dipende dalla rapidità  con cui il Paese potrà  disporre dei conti attualmente congelati e delle sue risorse petrolifere» ha dichiarato Masood Ahmed, direttore del Fmi in Medio Oriente e Asia centrale. Sono 160-170 i miliardi di dollari dei conti della Libia congelati durante il conflitto. E per i profitti da risorse petrolifere, la Libia dovrebbe cominciare a produrre 700.000 barili di petrolio al giorno già  a fine anno.

Ieri al termine del Consiglio nordatlantico il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen ha confermato che la missione militare in Libia si concluderà  il 31 ottobre. Fino ad allora però, ha assicurato Rasmussen, «insieme ai nostri partner, continueremo a controllare la situazione e, se necessario, continueremo a rispondere alle minacce ai civili». Nel ribadire ancora una volta con vanto come l’operazione «Unified Protector» – che, tre giorni fa, il Cnt aveva chiesto di prolungare ancora per «almeno un mese» – sia fra quelle «più di successo nella storia della Nato», condotta «in modo efficace, preciso e flessibile». Silenzio sulle stragi in di lealisti denunciate dagli organismi dell’Onu. Rasmussen ha riconosciuto che restano i nodi, a quanto pare non assicurati dai raid Nato, della «riconciliazione, diritti umani e stato di diritto», ma tranquilli ora «una Libia democratica è per tutto il suo popolo», ha concluso, assicurando che l’Alleanza «è pronta ad aiutare la Libia anche dopo, se sarà  necessario e «se sarà  richiesto» per la sicurezza del paese. Un versante su cui tutto sembra pronto. Da ricordare che il Consiglio nordatlantico di ieri era allargato proprio per questo ai cinque paesi non-Nato partner di Unified Protector: Qatar, Emirati Arabi Uniti, Marocco, Giordania e Svezia.
Intanto torna in evidenza la sorte di Saif Al-Islam Gheddafi. La Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja ha in corso «colloqui informali» per la resa del figlio dell’ex raìs, latitante e ricercato per crimini contro l’umanità . Lo ha affermato Moreno Ocampo il procuratore capo della Cpi in un’intervista alla Cnn, senza precisare con chi sia in contatto la corte che non sa dove si trovi Saif al-Islam. Che, se arriverà  davanti alla Cpi, dice Ocampo, avrà  «tutti i diritti e verrà  protetto» e potrà  difendersi dalle accuse mossegli dalla Corte. Ocampo ha reso noto di aver appreso, da contatti informali, che un gruppo di mercenari si sarebbe offerto di «trasferire Saif in uno Stato africano che non fa parte dello Statuto di Roma», che disciplina competenze e funzionamento della Corte penale internazionale. Per questo l’ufficio del procuratore del Cpi valuta anche «la possibilità  di intercettare velivoli nello spazio aereo per procedere ad un arresto».


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