La favola di Dewey dal carcere al ring

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NEW YORK.  È l’allenamento più lungo che pugile abbia mai affrontato: 26 anni. E anche il più duro. Sapete cosa vuol dire tirar di pugni in una palestra chiamata Sing Sing? Ma sabato sera, sul ring di Los Angeles che vedrà  sfilare anche il campione del mondo dei pesi piuma Bernard Hopkins, il debuttante Dewey Rader Bozella potrà  finalmente misurarsi nel match atteso da una vita: da quando lo spedirono dietro le sbarre per un delitto mai commesso.
Sembra una storia da film. E la troupe della tv sportiva Espn mica per niente riprende Dewey mentre affronta, stile Rocky, i 72 gradini del Philadelphia Musuem of Art. Ma per l’ex carcerato non si tratterà  certo di intraprendere una carriera che a 52 anni sembrerebbe impossibile anche al Rocky vero: «Salirò sul ring per dare il 100 per cento di me stesso» dice al New York Times «e poi stop. È il mio modo di dimostrare al mondo che non devi arrenderti mai». Dove l’avrà  trovata tutta quella forza che adesso scarica nei suoi pugni?
Dewey aveva 18 anni e una vita già  troppo turbolenta alle spalle quando fu accusato di quel delitto orribile. Anzi da bestia. Perché come altro definireste un ragazzino che lega col filo elettrico e ammazza a coltellate una vecchietta di 92 anni per portarle via gli spiccioli vinti al Bingo? Ad accusarlo sono due fratelli che hanno venduto l’anima al diavolo, cioè al giudice, e che lo incastrano in cambio di un patto che li farà  uscire di galera: facendo entrare lui. E d’altronde Dewey sembra avere l’identikit del killer perfetto. Due fratelli morti accoltellati, un terzo ucciso dall’Aids, lui stesso teppista dalla fedina penale lunga così. C’è solo un piccolo particolare: l’assassino non è lui.
In prigione quell’avanzo di strada si trasforma. Prende il diploma. Prende addirittura una laurea col New York Theological Seminary. Ma la religione che gli ruggisce forte dentro è un’altra. Dewey imbraccia i guantoni e scarica la sua rabbia in un posto che si chiama “La casa della morte”: è qui che Sing Sing giustiziava sulla sedia elettrica i suoi ospiti quando New York si divertiva ancora con la pena di morte.
Intanto il suo caso si riapre. Sul coltello che ha ucciso la vecchietta spuntano le impronte digitali di un altro tizio: già  beccato per un delitto simile. Stavolta è a lui che propongono un patto per salvare la faccia del tribunale: confessa e sarai libero. Lui rifiuta: esco da qui da uomo libero oppure con i piedi davanti. Passano gli anni e la sua storia arriva alle orecchie dell’Innocence Project. E’ un gruppo che s’è fatto carico di rivedere le decisioni più controverse di un sistema giudiziario in cui più sei disgraziato e meno conti. Gli avvocati-detective scoprono che il capo della polizia aveva occultato per un quarto di secolo le prove che scagionavano l’ex ragazzo. Che intanto è diventato vecchio.
Il resto è storia di questi giorni. Una tv sportiva lo scopre in una palestra di Newburgh, New York, dove Dewey coltiva quella passione che l’ha tenuto vivo in carcere, e decide di finanziargli il sogno, assegnandogli il Premio Coraggio dedicato ad Arthur Ashe, il primo tennista nero a vincere un Grande Slam. E sabato sera, a Los Angeles, l’uomo condannato per un delitto mai commesso svelerà  al mondo che risorgere si può. Come finirà ? Dewey la sua partita l’ha già  vinta. Con la pubblicità  del match, dice, aprirà  una scuola di boxe per redimere i teppistelli come lui: quelli che non ci stanno a farsi mettere alle corde dalla vita.


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