La legge bavaglio verso un binario morto

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ROMA – Nuovo stop, questa volta forse definitivo, alla legge sulle intercettazioni. Colpita a morte dalla débacle alla Camera della maggioranza, ma già  prima di quel voto in forte frenata, fino a parlare espressamente di rinvio, negli ordini in arrivo da palazzo Grazioli.

Dove Berlusconi, dopo una notte di ripensamenti, decide che, in vista del voto sulla prescrizione breve, non vuole forzare troppo la mano soprattutto con Napolitano.

L’ultimo tentativo di convincere l’Udc a dare almeno un’astensione lo fa il relatore Enrico Costa che, a ridosso di mezzogiorno in Transatlantico, parla fitto con il vice presidente del Csm Michele Vietti e con Roberto Rao, il più ascoltato consigliere di Casini. Li rassicura sull’ultimo sforzo per venir loro incontro – niente carcere ai giornalisti ma solo sanzioni, blackout ridotto a pochi giorni dopo gli arresti, proroghe degli ascolto con un solo giudice – ma incassa un niet. Dirà  poi Rao: «È inutile, non ci lasciamo persuadere da queste sirene». Dirà  Costa.

«Peccato, ha prevalso un ostracismo preconcetto. Questo ddl sarebbe stato davvero una buona legge, ma pesa il niet della Bongiorno».

In effetti proprio Giulia Bongiorno vince di nuovo la partita contro le intercettazioni. Un ruolo determinante il suo, da quando, giovedì 6 ottobre, ha annunciato le dimissioni da relatore del provvedimento e ha fatto un drastico richiamo a tutto il Terzo polo sulla necessità  di tenere la barra e non derogare di un millimetro dal compromesso raggiunto un anno prima. A quel punto, per smuovere l’Udc, Costa ha passato il fine settimana a costruire una piattaforma di apertura su vari emendamenti, compresi un paio del Pd. Ancora ieri, con Manlio Contento, è rimasto a lungo in commissione Giustizia per chiudere le modifiche ed essere pronto al vertice che si sarebbe dovuto tenere a palazzo Chigi a sera con Letta, il Guardasigilli Palma.

Rinviato, ovviamente, dopo la sconfitta in aula.

In dieci minuti, tra le 17 e 40 e le 17 e 57, si materializza lo stop politico alla legge. Berlusconi è uscito sconfitto dall’aula mezz’ora prima. Il capogruppo della Lega Marco Reguzzoni dissocia il Carroccio dal bavaglio con una battuta non equivoca: «Quella legge va fatta, ma adesso le priorità  sono altre». Ne cita pure una, autorizzare la Singapore Airlines a operare su Malpensa. Dietro la dichiarazione c’è la notizia che i seguaci di Maroni sarebbero ben decisi a far mancare i loro voti nel segreto dell’urna su più di un emendamento.

Non ci fossero altri motivi, non ci fosse il malpancismo di Berlusconi verso una legge che ormai non lo convince più perché troppo «molle», basterebbe questo per motivare il rinvio. Addirittura il ritiro, circola voce. Ma di questa indiscrezione non si trova conferma. C’è un binario morto, ma su quel binario resta sempre il vagone delle intercettazioni.

Alle 17 e 57 si rincorrono per pochi secondi le dichiarazioni di Franceschini (Pd) e di Cicchitto (Pdl). Il primo chiede che la maggioranza fermi le intercettazioni. Il secondo dichiara poco fuori dell’aula: «È chiaro che si rinvia». La partita, a questo punto, è chiusa. Il Comitato per la libertà  e il diritto all’informazione conferma lo stesso, per oggi, una nuova manifestazione al Pantheon. Ma la legge finisce di nuovo in un limbo da quale è impossibile al momento capire se verrà  mai tirata fuori. Tutto, ovviamente, dipende dal destino di Berlusconi e del suo governo.

Ma, se il Cavaliere resiste, dipende pure dalla voglia di approvare un testo che, rispetto a quello che lui avrebbe voluto, è decisamente al di sotto del bavaglio desiderato per i magistrati (per fare le intercettazioni) e per i giornalisti (per pubblicarle).


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