Bossi: “All’opposizione” ma adesso vanno in crisi le alleanze nel centrodestra

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ROMA – Opposizione. È la parola magica dei leghisti. Liberatoria, capace di compattare un partito diviso e lacerato dietro a Umberto Bossi. La parola, la pronuncia proprio il Senatur, lasciando la Camera dopo il voto di ieri: «Andremo all’opposizione. Come si fa a sostenere un governo che farà  portare via tutto, che privatizzerà  le municipalizzate?», chiede il leader leghista ai giornalisti che lo attendono al varco.
Bossi viene da un’ultima riunione, dopo il voto in aula, con Silvio Berlusconi: il Cavaliere ha tentato di convincerlo ancora una volta ad appoggiare il governo tecnico di Monti ed è finita ad urla. Ci aveva provato anche prima del voto incontrando Roberto Maroni e Roberto Calderoli.
Ma la risposta è stata sempre picche: i leghisti non vogliono partecipare, non vogliono appoggiare, non vogliono mischiarsi con i tecnocrati dell’Europa. Anche a costo di rompere con Berlusconi. A domanda precisa Bossi risponde con un «vedremo». E Roberto Maroni spiega «se il Pdl entra nel governo e la Lega rimane fuori, va in crisi un sodalizio iniziato nel 1994 e non e’ affatto scontato che si possa tornare insieme». E a doma
Bossi è arrabbiato con il Cavaliere. Anche se capisce le pressioni enormi che ha subito, vede incrinato, strappato quel rapporto di amicizia con Silvio che ha caratterizzato l’ultimo decennio. «Berlusconi appare commissariato dall’Europa», – dicono i leghisti – «è stato costretto a tradire Bossi». Ma lui, il leader, rimprovera al Cavaliere di non essersi battuto per un altro governo di centrodestra. Uscendo da Montecitorio, ricorda infatti che la Lega vuole sostenere un esecutivo sulla base del voto del 2008.
Intanto gli altri leghisti ci vanno giù pesante: «Noi fino alla fine siamo stati leali, lui ha ceduto al governo Monti solo per paura di vendette sulle sue aziende e per evitare che gli esplodesse il partito». Così quando al Bossi chiedono se l’alleanza con il Pdl è ancora in piedi arriva il sibillino «vedremo». Perché adesso in ballo non c’è solo il governo nazionale. Ci sono le giunte regionali del Nord, centinaia di sindaci, decine di province. Bossi con il suo «vedremo» forse alludeva proprio alle maggioranze che tengono in vita queste esperienze e che potrebbero cominciare a fibrillare. Soprattutto quella lombarda di Roberto Formigoni. E al voto amministrativo della prossima primavera, la Lega potrebbe correre da sola.
Il Senatur e il vertice leghista hanno però un altro problema di non poco contro che li turba: la legge elettorale. Il loro timore è che alla fine della giostra il “governo tecnico” e Mario Monti tirino fuori dal cilindro un nuovo meccanismo per ripartire i seggi alle elezioni politiche che penalizzi proprio il Carroccio. E soddisfi le richieste di Pier Ferdinando Casini e dell’Udc, all’indice leghista, fra l’altro, per avere votato contro il federalismo fiscale.
Comunque la linea al momento è chiara. È illustrata in aula da Maurizio Fugatti, quasi incredulo di poter tirare fuori dal cassetto il vecchio canovaccio leghista. «La Lega vota sì al ddl Stabilità , che è in linea con quanto l’Europa ha chiesto al nostro Paese, ma è contraria a un governo che andrà  a toccare le pensioni, l’Ici sulla prima casa e che metterà  la patrimoniale», annuncia fra gli applausi convinti dei colleghi deputati. Finalmente può riparlare male dell’Europa, dare addosso a Prodi, strappare un’ovazione dicendo «gli italiani hanno capito che la tecnocrazia europea ha costruito per loro uno dei più grandi inganni».
La tattica leghista è semplice: nel Carroccio pensano che Monti forse mangia il panettone, ma la colomba non l’assaggia e il voto è dietro l’angolo. Allora bisogna pazientare solo qualche mese, forti del fatto che la Lega ha uomini e risorse sul territorio, come ricorda Maroni. L’idea è di ripresentarsi al prossimo giro elettorale incassando almeno i voti dei pidiellini scontenti.
E comunque, se a Monti va bene e riesce ad arrivare al 2013, spiegano i leghisti, avrà  fatto lacrimare e sanguinare gli italiani in tal modo che sarà  facile portare all’alleanza con il Pdl tanti voti e rivincere ancora. Dunque lo schema sembra quello del 2006: andare all’opposizione, lasciare fare il lavoro sporco agli avversari e passare ad incassare i dividendi elettorali. Alleandosi poi, forse, con Silvio Berlusconi.


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