I nodi di Economia e Giustizia nelle trattative sui sottosegretari

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ROMA — Alle 19, ormai come d’abitudine, il presidente del Consiglio è uscito da Palazzo Chigi ed è tornato nel suo ufficio di senatore a vita a Palazzo Giustiniani. Lontano da orecchie indiscrete, il professore Mario Monti ha rimesso in fila — forse di nuovo ricevendo i leader dei partiti — i problemi che non gli permettono ancora, a quasi dieci giorni dalla fiducia, di completare la squadra di governo, con i 25 sottosegretari e 5 vice ministri, per la quale gli sarebbero arrivate 64 segnalazioni. La prossima scadenza, ora, è prevista per lunedì o martedì, giorni in cui ci potrebbe essere un Consiglio dei ministri straordinario. Altrimenti, osservano preoccupati molti esponenti della nuova maggioranza, si aprirebbe la seconda settimana consecutiva di inattività  del Parlamento.
I nodi da sciogliere, ancora quattro, sono figli dell’assenza di concertazione preventiva tra i partiti ma anche di una serie di mancate conferme all’Economia: l’ultima è quella di Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, dopo quella del rettore della Bocconi Guido Tabellini. Così, il nulla di fatto registrato dopo i ripetuti contatti avvenuti in queste ore tra Monti e i leader politici non può essere attribuito del tutto agli appetiti dei partiti. Bersani, Alfano e Casini, infatti, poco hanno a che fare con il tentennamento del direttore generale del Tesoro che non ha ancora sciolto la riserva perché metterebbe sul piatto condizioni non alla portata di un governo che non può fare differenze di retribuzione tra i suoi sottosegretari.
Ma è pur vero che i partiti sono responsabili di un mancato accordo sulla lista unica come richiesto da Monti. Al presidente del Consiglio, infatti, non è arrivata una lista unica già  concordata tra Alfano, Casini e Bersani ma tre pacchetti di proposte di «tecnici» o presunti tali. E questo metodo permette a Monti di fare le sue scelte ma alimenta anche i veti incrociati tra i partiti. Le caselle sensibili, i posti irrinunciabili per gli uni e per gli altri, sono quelli delle Telecomunicazioni e della Giustizia.
Per la nomina del sottosegretario del Guardasigilli, Paola Severino, è sempre quotato il procuratore di Roma Giovanni Ferrara la cui candidatura, però, sta incontrando l’ostilità  dei colleghi magistrati, soprattutto romani. Alcuni mesi fa, quando al ministero si liberò la poltrona degli Affari penali lasciata da Italo Ormanni, Ferrara si impegnò a rimanere a piazzale Clodio, fino alla sua età  pensionabile, garantendo che la Procura di Roma non sarebbe stata affidata al suo vice, Capaldo, che si è distinto per la cena con l’ex ministro Tremonti e l’onorevole Milanese (ora indagato) e per questo ritenuto dai colleghi inadatto a dirigere l’ufficio. Per la giustizia, comunque, il governo non gradirebbe un «vice» della Severino avvocato o notaio perché è noto che in ballo c’è anche la riforma delle professioni.
Il terzo problema sulla scrivania di Monti riguarda la volontà  di alcuni ministri di scegliere i vice senza subire condizionamenti dei partiti. Il ministro Lorenzo Ornaghi (Beni culturali) avrebbe teorizzato la libertà  di scelta con un esempio pratico: «Il grande chirurgo, e non il direttore sanitario, sceglie i propri assistenti per la camera operatoria…». Per cui, teorizza chi ha raccolto questa confidenza del rettore della Cattolica, alcune scelte potrebbero maturare a Milano e non a Roma.
Infine, c’è il nodo per il sottosegretario ai rapporti con il Parlamento. Pier Ferdinando Casini ora dice che anche in questa casella «non finiranno uomini di partito». Invece il Pd, che ha messo sul piatto la candidatura di Giampaolo D’Andrea (ex sottosegretario con il secondo governo Prodi), sostiene che si tratta di scelta tecnica come quella del ministro Piero Giarda «che è stato sottosegretario anche con Prodi e Amato». Insomma, nelle ultime 24 ore il governo, con tanto di comunicato, ha solo confermato che al ministro Piero Gnudi va anche la delega per gli Affari regionali e a Giarda il Dipartimento per il programma di governo.


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