Insulti e lancio di monetine dalla folla

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ROMA — «Maiale, in galera», «Tutti a San Vittore», «Ora ad Hammamet», «Chi non salta/ Berlusconi è/è», «Bunga/bunga», «Vergogna/vergogna». Intorno, bandiere tricolori. Cori di «Bella ciao». Brindisi. Il lungo assedio notturno della folla a palazzo Grazioli in via del Plebiscito chiude l’era Berlusconi mentre mezzo centro è invaso da caroselli di auto a clacson spiegati, come per una vittoria della Nazionale.
Non era mai successo in quasi vent’anni di potere berlusconiano: si manifesta, si grida, si insulta sotto il palazzo del Cavaliere. Verso il portone piovono monetine da dieci e venti centesimi. Le forze dell’ordine agiscono con cautela, il questore Francesco Tagliente ammette che è una situazione in cui «serve particolare equilibrio». Verso mezzanotte si tenta di riaprire il Plebiscito al traffico per «normalizzare». Un gruppo di ragazzi si siede in mezzo alla strada. Il cuore di Roma si paralizza, nessun manifestante abbandona il campo fino a tardi. Volano spintoni, qualche ragazzo alza le mani in segno di resa. Ma resta lì.
Tutto comincia nel pomeriggio, a Montecitorio e sotto Palazzo Grazioli. Cartelli «Vattene», «Grazie Napolitano». Urla di «Dimissioni». Alle 19.10 il leader romano del Popolo Viola, Gianfranco Mascia comincia la sua salita al Quirinale dal Plebiscito issando un cartello: «12 novembre festa di Liberazione», «Bye bye Silvio, party?». È il segnale.
Piazza del Quirinale è già  presidiata dalle parabole delle tv di mezzo mondo. Sulla via verso il Colle c’è una Cinquecento tricolore parcheggiata che issa bandiera Pdl, ostile alla soluzione Monti (cartelli interni: «Boycott foreign products»). Qualcuno tenta di bloccarla ma alla fine svicola via. Alle 20 piazza del Quirinale è una grande arena politica.
Decine di bandiere tricolori, un paio di vessilli blu europei, uno stendardo sardo con i quattro mori. C’è di tutto: pensionati, universitari, bambini sul collo dei padri, turisti ipnotizzati da uno spettacolo impensabile in qualsiasi Paese europeo, il coro «Resistenza musicale permanente» che canta l’Alleluja di Hà¤ndel, l’Inno di Mameli, «Bella ciao» e «Va’ pensiero», con buona pace di Umberto Bossi. Slogan durissimi («Manette/manette», «Silvio/Silvio/vaff…», «Buffone/buffone») si mischiano all’ironia: «Datte ‘na mossa/Silvio datte ‘na mossa», cantata su «Guantanamera», «Te ne vai o no/ te ne vai sì o no». Poliziotti e carabinieri faticano a chiudere i cordoni e spesso cedono alla pressione di chi urla e spinge. Un immenso pallone-banana Chiquita è avvolto dal tricolore.
Onda Futurista issa uno striscione: «26 gennaio 1994/12 novembre 2011/ L’Italia s’è desta». Altro cartello: «Oggi è il 25 aprile». Marco Barone, sui vent’anni, è nato a Comiso, provincia di Ragusa, ma studia ingegneria a Roma, ha una bottiglia di prosecco di Valdobbiadene e bicchieri di plastica per gli amici. Perché brindare per le dimissioni di un capo del governo? «Perché era ora, il berlusconismo è finito ma lui no, dovremo tenercelo ancora qualche annetto…». Rossella Stocchi, signora elegante da «quartiere buono», si definisce «casalinga contenta»: «Festeggiamo perché non era più una vera democrazia, Berlusconi non era più un riferimento istituzionale». Vincenzo Capuano è un pensionato e issa un cartello «Game Over»: «Un bugiardo, istrionico, autore di leggi per proteggersi dai processi, una vergogna in campo internazionale».
Alle 21 piovono già  monetine sul cofano dell’auto blindata di Berlusconi quando entra, con una faticosa manovra, dal portone principale del Quirinale. Arriva da via XX Settembre e non da via 24 Maggio. La breve via di accesso al Quirinale da piazza Venezia (quindi da palazzo Grazioli) è bloccata da un’ora.
Le monetine (una manciata o poco più tirate da Mascia) citano quelle lanciate contro Craxi il 30 aprile 1993 davanti all’hotel Raphael. Lì erano poche decine di manifestanti. Invece questa notte del 12 novembre 2011, una veglia in attesa delle dimissioni di Berlusconi, passerà  alla storia del costume politico italiano come la prima manifestazione politica autoconvocata in piazza del Quirinale, davanti alla presidenza della Repubblica, a colpi di sms e avvisi su Facebook (pagina del Popolo Viola). Roba di minuti.
Alle 20.45 Berlusconi esce dal portone laterale di via XX Settembre, mai accaduto che un capo del governo dimissionario non abbia lasciato il Quirinale dalla porta principale. La folla esplode, i tappi di champagne saltano, si brinda, ci si abbraccia e bacia, piovono coriandoli bianchi.


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