Povera America, in stallo politico Pechino vede «recessione lunga»

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Il 28% di «quasi poveri». Gente col posto fisso, casa e famiglia. Ma con un salario da fame L’America si scopre povera e incapace di prendere decisioni. La Cina comincia temere una recessione globale «di lunga durata». I due «primi della classe» dell’economia mondiale guardano alla crisi da punti di vista molto diversi, ma i vincoli comuni sono talmente strettu da non consentire nemmeno alla potenza in ascesa di rallegrarsi – se non ricorrendo a qualche formula della filosofia orientale – del precipitare altrui.
Gli Stati uniti sono inchiodati a un replay. La commissione del Congresso che deve decidere entro domani come ridurre il deficit pubblico di almeno 1.200 miliardi sta per alzare bandiera bianca. Nessun accordo sembra possibile tra repubblicani ansiosi di cancellare quel tanto di «stato sociale» esistente negli States (Medicare, Medicaid, Social security) e i democratici attestati sulla «riduzione del danno». La stessa scena si era vista in luglio, quando si doveva decidere la cifra cui poteva essere elevato il «tetto» del deficit pubblico (ci vuole una legge, negli Usa). Solo all’ultimo minuto l’accordo fu trovato, ma l’episodio ha lasciato strascichi pesanti sia sul piano del rating (Standard&Poor’s ha diramato un «outlook negativo» che prelude a un taglio vero e proprio), sia su quello della credibilità  della classe politica statunitense.
Ed è forse soprattutto questo l’aspetto più preoccupante, tale da far resuscitare – sotto lo guardo partecipe di una Trilateral Commission mai come oggi protagonista attiva della governance globale e preoccupata dalle derive alla Tea Party come dalle proteste popolari – il dibattito sull’esigenza di un «terzo partito» in grado di fare «le cose che bisogna fare», senza le lungaggini del confronto palramentare tra forze politiche che devono conquistarsi il consenso elettorale. Sentite un che di familiare? Per forza: «è la globalizzazione, bellezza».
Ma intanto 100 milioni di americani – un terzo della popolazione – è diventata «quasi povera» o peggio. Venti milioni sopravvivono sotto la soglia dei 5.600 dollari l’anno (poco più di 4.000 euro). Degli altri, il 28% ha un lavoro fisso, la casa e l’automobile. Ma non ce la fa a tenere il passo. L’Ufficio del censimento ha diramato i dati ieri, per chi si concepisce come il centro del mondo sono uno shock. A Washington, per esempio, dato l’alto costo della vita, 40.000 dollari l’anno bastano appena per le spese essenziali.
Ma questa situazioe non semmbra scuotere né il senso di responsabilità  dei politici, né – tantomeno – quello dei manager delle imprese più grandi, abbiano avuto successo o no. È di ieri, per esempio, la notizia che Maurice «Hank» Greenberg, ex amministratore delegato del colosso assicurativo Aig (salvato con 110 miliardi di dollari pubblici dal fallimento, nel 2008-9) ha fatto causa al governo statunitense chiedendo 25 miliardi per «danni». A suo avviso, infatti, il salvataggio dell’impresa che aveva portato al dissesto era «incostituzionale». Forse ledeva la «libertà  d’impresa»…
Di fronte a questa America senza baricentro chiaro, la Cina studia le tendenze dell’economia e prevede una «lunga recessione globale». Il vice premier Wang Qishan ha rotto con il tradizionale linguaggio diplomatico per affermare che le prospettive sono «estremamente gravi», Quella crisi che qui in Occidente si manifesta come «crescita zero», nei paesi ormai «emersi» assume le fattezze dell’inflazione. Qui, infatti, i salari sono fermi da oltre un decennio, ma laggù devono correre con il correre degli investimenti, della produzione crescente, delle carenze di manodopera specializzata (quasi un paradosso, visto da dove son partiti).
Qui pesa l’immenso debito accumulato grazie alle formule fantasiose – matematica pura, senza rapporto con il «sottostante» di valore – della finanza creativa, con «effetto leva» fantastico (una droga quando si cresce, un tumore quando c’è crisi). Lì si cerca di non perdere di vista il surplus investito in titoli di stato e finanziari occidentali.
Una differenza di vedute che lo stesso Wang Qishan ha sintetizzato a suo modo: «una ripresa non equilibrata sarebbe meglio di una recessione equilibrata». La traduzione, non difficile, è: «lasciateci crescere in pace, non chiedeteci di far apprezzare troppo la nostra moneta, non è utile neanche per voi che noi vi seguiamo nella crisi».


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