Praga indignata contro il «velluto» neoliberista

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PRAGA. Nella Repubblica ceca, l’anniversario della Rivoluzione di Velluto dell’89, che cade nella giornata del 17 novembre, non è più da alcuni anni soltanto il palcoscenico delle celebrazioni di regime, ma anche delle manifestazioni dei movimenti cittadini. Anche questo anno i movimenti di protesta cechi hanno scelto di scendere in piazza per difendere i diritti e la democrazia sotto attacco da parte del governo liberista del premier Necas. In prima fila c’è il Movimento per le Alternative, il ProAlt, che è reduce da una manifestazione di successo organizzata alla fine di ottobre e che ha raccolto diverse migliaia di partecipanti. Dunque anche quest’anno ProAlt ha scelto di fare il controcanto alle manifestazioni commemorative del governo, schierando però un nome di peso: quello del filosofo marxista Slavoj Zizek. E Zizek non ha deluso le attese, affermando nel suo discorso: «La più grande illusione dei nostri tempi è pensare, che siano sufficienti solo dei piccoli ritocchi al capitalismo. Viviamo in tempi strani: una catastrofe o un cataclisma globale sono più immaginabili di una riforma radicale o dell’abbattimento del capitalismo». Il corteo, composto da circa 5 mila persone, si è poi snodato per le vie della capitale ceca, prendendo di mira sia l’attuale governo che i molti degli vecchi leader della Rivoluzione (come l’ex presidente Havel), convertitisi da tempo al neoliberalismo e alla politica estera degli Stati Uniti.
L’anniversario del 17 novembre quest’anno è stato contrassegnato da una miriade di azioni di contestazione al governo e a tutta la classe dirigente. Un movimento spontaneo e multiforme, che spunta anche nelle un poco addormentate terre della provincia boema e morava, dove tuttavia già  si fanno sentire i pesanti interventi al Welfare da parte dell’ attuale governo. Tale attività  denota senz’altro un malessere sociale diffuso e una sfiducia verso l’estabilishment politico, ormai identificato con i fenomeni della corruzione e del clientelismo.
Alla crisi del sistema politico tuttavia non reagiscono solo i movimenti. Anche nella Repubblica ceca sta per scendere in campo la reazione sociale. Da una parte intorno alla figura del Presidente della Repubblica Vaclav Klaus si sta organizzando una nuova forza conservatrice, che richiama i temi cari alla destra più oltranzista: l’odio per l’Unione europea e il sentimento anti-tedesco, negazione dei cambiamenti climatici, omofobia, richiamo alle tradizioni folkloristiche in contrapposizione al cosmopolitismo della globalizzazione e ovviamente il mantenimento di una rigida gerarchia sociale. Ma neppure gli esponenti della grande borghesia stanno a guardare: da tempo ormai prospettano una discesa in campo diversi grandi imprenditori, che ancora propinano la costruzione di un velleitario capitalismo dal volto pulito. Questi imprenditori, tra cui spicca il magnate dell’agroalimentare Andrej Babis, collegano tutti i malanni dell’economia ceca con l’irresponsabilità  e con la corruzione della classe politica. Si propongono quindi come i portavoce di una classe media sempre più arrabbiata verso i politici tout court e sempre più affascinata dalla prospettiva di un partito e di un governo dei «capaci e degli esperti», che riduca gli spazi della rappresentanza in favore della cosiddetta competenza, coltivata nei think-thank liberal-conservatori e nelle facoltà  economiche, dove ancora domina l’approccio degli Chicago boys. Sirene, tuttavia, il cui canto ammaglia anche una parte del movimento sindacale.
Ma avanza il rullo compressore delle riforme neoliberiste: dopo i tanti casi di filibustering dell’opposizione, la maggioranza ha approvato i doppi standard per i ricchi e i poveri nella sanità , una riforma fiscale che alza l’Iva sulle merci di prima necessità  del 10%, e defiscalizza i dividendi pagati dalle aziende, mantenendo i diversi privilegi fiscali per i redditi più alti già  presenti nel sistema fiscale ceco. E qui si vede anche uno dei limiti di una classe politica organica all’élite economica: i responsabili dei partiti della destra ormai non si curano più della probabile sconfitta alle prossime elezioni parlamentari, sapendo di trovare un approdo sui lidi ben più remunerati di grande industria e finanza internazionale.


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