Cinque punti controversi lungo la rotta del governo Monti

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1) Le misure prese (insufficienti quelle di Berlusconi, necessarie quelle di Monti) erano inevitabili. E l’aspetto inevitabile è proprio il rigore, il tentativo di una forte riduzione del disavanzo: data l’incoscienza dimostrata dal nostro Paese negli ultimi dieci anni, dovevamo convincere i mercati e l’Europa che questa volta facevamo sul serio, che i governi avrebbero sfidato l’impopolarità  per raggiungere il pareggio di bilancio cui ci eravamo impegnati per il 2014.
2) Delle altre due voci della famosa triade (rigore, equità  e sviluppo) la seconda, l’equità , riguarda solo noi: ai mercati o alla signora Merkel interessa assai poco. Ma se si fa una manovra fiscale di queste proporzioni e in condizioni già  recessive, l’iniquità  è insita nello stesso aggravamento della recessione e nelle sofferenze che provocherà  tra i ceti più deboli del nostro Paese. Gli ammortizzatori sociali di cui disponiamo sono molto imperfetti, per usare un eufemismo. E coll’evasione fiscale che ci ritroviamo, in condizioni di grande fretta e in assenza di anagrafi tributarie e catastali aggiornate e affidabili, misure fiscali redistributive difficilmente possono essere eque; al massimo si può aspirare a che non siano grossolanamente inique. Se il governo Monti, o governi politici di competenza e autorevolezza comparabili, potessero durare in carica parecchi anni, uno dei compiti cui dovrebbero dedicarsi sarebbe proprio quello di costruire un miglior sistema di ammortizzatori e le basi informative e amministrative di cui dicevo, un compito che Vincenzo Visco aveva cominciato a svolgere e che poi era stato abbandonato.
3) Alla crescita della nostra economia mercati e istituzioni europee sono certamente più interessati che all’equità , perché il peso del debito si attenua e la possibilità  di ripagarlo aumenta in una economia che cresce. Nella manovra ci sono misure che alleviano le difficoltà  in cui verranno a trovarsi imprese, lavoratori, famiglie nei prossimi anni: nulla però che le possa spingere al grande aumento di investimenti e consumi di cui avremmo bisogno per crescere. E ce ne sono altre, o sono state annunciate, dirette a migliorare l’efficienza e la produttività  di molti segmenti del nostro sistema, pubblici e privati. Anche qui dobbiamo augurarci che governi di qualità  simile a quello che abbiamo ora restino in carica parecchi anni, perché si tratta di misure indispensabili per assicurarci una crescita adeguata nel lungo periodo. Esse però richiedono tempo per essere attuate e i loro effetti sulla competitività  della nostra economia, e dunque sulla crescita, sono anch’essi lenti a maturare.
4) Insomma, rigore e recessione ci sono. Equità  e crescita, di necessità , sono in buona misura rinviate. Se è così, una domanda sorge spontanea: questa iniziale cura da cavallo era proprio necessaria? Sì, purtroppo lo era. Lo era per avviare un processo di riforma troppo a lungo rimandato. E soprattutto lo era per mettere l’Unione Europea (leggi: la Germania) di fronte alle proprie responsabilità . Il sistema monetario e istituzionale europeo ci ha illuso quando l’economia andava bene, ma mostra appieno i suoi difetti di costruzione in condizioni internazionali più difficili. Dal settembre 2008, dall’apice della grande crisi americana, si sono svolte ventuno riunioni del Consiglio europeo, senza che queste siano riuscite a creare un’architettura istituzionale in grado di reggere alle turbolente condizioni in cui ci troviamo. Certo, i singoli Paesi devono «comportarsi bene», e il nostro sta dimostrando di farlo. Ma se così avviene, la Bce dovrebbe fornire garanzie illimitate ai Paesi potenzialmente solvibili affinché questi possano uscire da crisi di liquidità  provocate da attacchi speculativi. E le istituzioni europee dovrebbero impegnarsi in una strategia mirante a suscitare domanda, a stimolare crescita economica, soprattutto nei Paesi cui giustamente si impone una cura di rigore.
5) L’ultimo vertice europeo non ha risposto a questi due obblighi, al secondo in particolare, e i mercati se ne sono accorti, spuntando un rendimento del 6% in un’asta di Bot a un anno tenutasi il lunedì successivo. Non possiamo reggere a lungo a questi oneri e saremmo costretti a misure sempre più pesanti, recessive e socialmente insostenibili, per mantenere l’impegno del pareggio di bilancio, fino a una inevitabile insolvenza. La Germania è il Paese che ha tratto il maggiore vantaggio dalla moneta unica: fare capire ai suoi dirigenti politici — una parte delle sue élite imprenditoriali ne è già  convinta — che un crollo della moneta unica dovuto all’insolvenza di grandi Paesi dell’area mediterranea sarebbe un disastro anche per lei, e che dunque deve venire in fretta a più miti consigli, credo sia il più grande compito che aspetta Mario Monti. E nessuno è più adatto di lui per affrontarlo.


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