Il Paese fragile del Censis «Ma è pronto a reagire»

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ROMA — Siamo fragili, isolati, eterodiretti, cioè governati da poteri esterni. E prigionieri dei poteri finanziari. Così ci vede il Censis, così ci descrive nel suo rapporto annuale. Sono tempi di crisi questi, e dunque addio al biennio 2008-2009, quando abbiamo dimostrato una tenuta superiore a tutti gli altri, «guadagnandoci una good reputation internazionale». Oggi siamo fragili, «a causa di una crisi che viene dal non governo della finanza globalizzata», isolati perché «restiamo fuori dai grandi processi internazionali», eterodiretti perché non ci governiamo da soli ma sono gli uffici europei a «dettarci l’agenda». Di conseguenza ci sentiamo prigionieri dei poteri finanziari: «in basso vince il primato del mercato, in alto gli organismi del potere finanziario». Ma il punto debole, spiegano al Censis, è che è «illusorio pensare che i poteri finanziari disegnino sviluppo», si occupano solo dei conti, «fanno rigore ma non sviluppo».
Di conseguenza, «viviamo esprimendoci con concetti e termini che nulla hanno a che fare con le preoccupazioni della vita collettiva, default, rating, spread, eccetera». Siamo fermi, bloccati. Eppure una strada per superare la crisi c’è: «Mettere in campo la nostra vitalità , rispettare e valorizzare le nostre radici e guardare al futuro». Il Censis guarda all’economia reale come unica strada per uscire dalla crisi, perché in fondo «siamo ancora una realtà  in cui vige il primato dell’economia reale, nonostante l’attuale trionfo dell’economia finanziaria».
Responsabilità  collettiva
Di fronte all’emergenza, tuttavia, noi italiani stiamo recuperando il senso della responsabilità  collettiva, quasi 6 italiani su 10 sono pronti a fare sacrifici per l’interesse generale del Paese. La famiglia è sempre il pilastro del nostro stare insieme (65,4 per cento). E quasi un cittadino su due si sente ancora «italiano». Abbiamo il gusto per la qualità  della vita (25 per cento), le nostre tradizioni religiose (21,5 per cento), l’amore per il bello (20 per cento). Un italiano su quattro fa volontariato con regolarità . Vogliamo però fortemente (50 per cento) una riduzione delle diseguaglianze economiche. Vogliamo più onestà  e moralità  (55,5 per cento) e rispetto per gli altri (53,5 per cento). Diciamo no alla furbizia e alle ruberie. No alla sistematica violazione delle regole. Otto italiani su dieci condannano duramente l’evasione fiscale, di questi quattro pensano che sia moralmente inaccettabile, gli altri quattro che chi non paga le tasse «arreca un danno ai cittadini onesti». Dalla classe dirigente esigiamo «specchiata onestà  sia in pubblico sia in privato» (59 per cento) ma anche preparazione (43 per cento), saggezza e consapevolezza (42,5 per cento).
Lavoro e occupazione
La crisi ci toglie il fiato. Se agli inizi degli anni 80 il reddito da lavoro era il 70 per cento del reddito familiare complessivo, nel 2010 la percentuale è scesa al 53,6. La classe dirigenziale, quindi i vertici decisionali, sono passati da 553 mila a 450 mila, e sono sempre quasi soltanto uomini, pochissime le donne, il Pil è cresciuto in termini reali solo del 4 per cento mentre in Germania e in Francia cresce rispettivamente del 9,7 e dell’11,9.
L’occupazione stenta, ma se i livelli occupazionali dei 45-54enni tengono e anzi aumentano, sono i giovani a farne le spese. Centomila posti di lavoro in meno per chi ha tra i 35 e i 44 anni ma la crisi colpisce «come una scure», ha detto il presidente del Censis Giuseppe de Rita, soprattutto i giovani sotto i 35 anni, che in quattro anni hanno perso un milione di posti di lavoro. Tanto che il Censis non esclude un aumento delle tensioni sociali e il rischio di una «deriva nazionalpopolare».
Scuola e formazione
Un giovane su quattro tra i 15 e i 29 anni non studia e non cerca lavoro. La quota degli scoraggiati è altissima: non è interessato né a studiare né a lavorare l’11 per cento dei giovanissimi, tra i 15 e i 24 anni, e ben il 17 per cento dei giovani tra i 25 e i 29. La media europea è rispettivamente del 3,4 per cento e dell’8,5 per cento. Solo il 65 per cento dei diplomati si iscrive all’università  e dopo il primo anno il 20 per cento lascia.
Web e social network
Una spinta propulsiva possiamo comunque trovarla nella sfera delle relazioni sociali. «Una pluralità  di reti relazionali tiene insieme la società  italiana», dice il Censis, un italiano su due è «in Rete», nove ragazzi su dieci usano Internet regolarmente. Ed è trionfo dei social network: 16 milioni sono gli utenti di Facebook, 6 milioni utilizzano Skype, un milione e centomila sono su Twitter. Gli italiani che usano Internet sono il 53 per cento, un salto di sei punti rispetto al 2009, ma sono naturalmente più giovani (87,4 per cento) che anziani tra i 65 e gli 80 anni (15,1 per cento) e in maggioranza persone con titolo di studio più elevato (72,2 per cento) piuttosto che quelle meno scolarizzate (37,7 per cento). Tutto questo nonostante l’Italia continui a restare indietro rispetto ad altri Paesi europei per la qualità  soprattutto delle connessioni a Internet.
Informazione
Sono sempre i telegiornali la fonte principale di informazione per gli italiani, li guarda l’80 per cento. Ma tra i giovani il dato scende al 62 per cento perché sono in tanti a scegliere la Rete per informarsi. Al secondo posto ci sono i radio giornali (56,4 per cento), poi la carta stampata, quotidiani (47,7 per cento) e periodici (46,5 per cento). Infine Televideo (45 per cento) e i motori di ricerca (41,4 per cento). Già  due italiani su dieci si informano sui quotidiani online.


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