Il primo indice del Talmud grazie a un tennista dilettante

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 È il libro dei libri, la raccolta più misteriosa del mondo, sono le istruzioni per l’uso più antiche della Terra: eppure ci sono voluti 1500 anni per trovare un indice al Talmud. E quest’opera letteralmente biblica è stata compiuta non da chissà  quale straordinario consesso di studiosi ma da un avvocato del Bronx con la passione del tennis. Che ha speso sette anni della sua vita per realizzare quello che sembrava irrealizzabile: mettere ordine in una raccolta così caotica – 63 volumi di ingarbugliatissime disquisizioni rabbiniche – che nessuno si sarebbe mai sognato di indicizzare. 
Sembra incredibile nell’era in cui basta un clic e tutto il sapere ci si presenta a portata di Google. E la storia di Daniel Retter, l’avvocato che si mise in testa di riordinare il Talmud, sembra davvero la traduzione contemporanea di un racconto incantato di Isaac B. Singer: o la trama disincantata di un film di Woody Allen. Ma in fondo anche questo è Talmud: perché l’intera tradizione culturale ebraica discende appunto dalla raccolta con cui nei primi secoli della diaspora gli antichi rabbini cercarono di offrire al popolo eletto e disperso il conforto della Legge. Talmud in ebraico vuol dire letteralmente studio, istruzioni. E se la Bibbia, l’Antico Testamento è la parola di Dio, le “istruzioni” sono quella dell’uomo che si confronta appunto con il messaggio: interpretandolo. Se la Bibbia è il libro sacro, insomma, il Talmud è il libro che – insieme alla Sinagoga, la casa di preghiera in cui si suggella l’alleanza tra Dio e Israele – definisce il sistema religioso e la stessa identità  ebraica. «Il Talmud fu creato perché un’intera nazione, e non solo pochi santi», scrive il grande filosofo ebreo Eliezer Berkovits «prendessero la Bibbia sul serio, cercandone di farne il fondamento della loro vita quotidiana». 
Un lavoro immenso, cominciato nel secondo secolo dopo Cristo e concluso solo nel sesto. Un testo su cui da due millenni studiano e soffrono generazioni di giovani ebrei: finalmente graziati dal lavoro dell’avvocato-tennista. Ma possibile che finora nessuno ci avesse mai pensato? La verità  è che per secoli sono stati gli stessi rabbini a mantenere l’oscurità  sul testo. Dapprima tramandato solo oralmente, messo per iscritto solo dopo l’invenzione della stampa, il Talmud è stato spesso pensato come un libro misterioso, prima da trasmettere di generazione in generazione e poi da studiare sudandoci sopra. L’opera dell’avvocato Retter ha ridotto adesso questo immenso patrimonio di saggezza in 6600 voci e 27mila sottovoci. L’indice si chiama HaMafteach, cioè La Chiave, è disponibile sia in inglese che in ebraico e permette così – spiega il New York Times – di districarsi nei temi anche più curiosi che possono turbare i fedeli. Si può risposare l’ex moglie che ha convissuto con un altro? Che cosa fare di un oggetto trovato nella spazzatura? Per un osservante non sono minuzie. L’unico precedente finora tentato di indicizzare il Talmud era attraverso un cd-rom: il colmo per uno studioso che non avrebbe potuto usarlo per esempio il sabato, visto che nel giorno del riposo non si può far uso di nessuna tecnologia – neppure, e qui davvero ci incartiamo in una discussione talmudica, per consultare il Talmud e scoprire se proprio nel caso questa tecnologia si può usare.
Retter racconta che l’ossessione per il libro gli era stata inculcata dal padre, costretto da bambino a fuggire dalla Germania delle persecuzioni naziste negli Usa: «Ancora adesso non posso stare un minuto senza consultarlo» racconta. «Se sono in fila da qualche parte, in attesa di essere chiamato, studio il Talmud». Ma la discussione delle minuzie quotidiane per cui è universalmente conosciuto sono naturalmente soltanto la parte più curiosa. Proprio la sua struttura aperta – spiegano gli esperti – ha determinato la costruzione dell’identità  ebraica, dove le domande sono sempre più delle risposte e la ricerca della perfezione è continua. Jonatan Rosen ha scritto un libro, Il Talmud e Internet, proprio per sottolineare la similarità  tra il libro aperto e il web. E a proposito dell’effetto-Talmud sulla cinematografia di Woody Allen o sulla letteratura di Philip Roth sono state scritte pagine memorabili. Per non parlare dell’infatuazione di “gentili” come Madonna: che frasi del libro ha nascosto perfino nelle sue canzoni. Chissà  che adesso l’indice dell’avvocato-tennista non riaccenda, dopo 1500 anni, la voglia di cercare: anche ai semplici curiosi. Sempre tenendo a mente, ci mancherebbe, proprio quella massima talmudica: «Chi vuole capire troppo non capisce nulla: chi cerca di capire meno riuscirà  a capire qualcosa».


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