L’Europa accusa di strapotere Berlino. E per i tedeschi torna l’incubo di far paura

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Dopo socialisti francesi in campo contro «i Diktat che pongono di nuovo la questione nazionale tedesca», o politici greci disinvolti a paragonare le severe ricette salvaeuro di Berlino «al terrore dell’occupazione nazista». La Germania è sotto shock: si riscopre vista come potenza minacciosa e cattiva dal resto d’Europa. L’antico incubo collettivo globale del “tedesco cattivo” torna a prevalere: addio all’immagine della cool Germany della festa globale ai mondiali di calcio 2006, bye-bye sogno di Berlino mèta globale, metropoli giovanile e spassosa che non intimorisce, nuova Londra della movida mitteleuropea. Germanofobia, si chiama il trend: sembrava tramontato, torna a dominare emozioni e umori. Accuse ai “diktat” della Merkel vignette irriverenti, paragoni con “l’occupazione nazista” La Germania si riscopre potenza minacciosa e arrogante nei giudizi della Ue. Uno shock che risveglia il peggiore incubo dei tedeschi: essere odiati. Addio all’immagine della “cool Germany”, della festa globale dei Mondiali 2006. Le severe ricette per risanare l’economia hanno cambiato gli umori verso il Paese”Miopi se esitiamo guerrafondai se acceleriamo. Ma come si fa a piacervi?”
E la doccia gelata sveglia i tedeschi in uno shock gettandoli in un trauma forse pericoloso. Non è solo questione di una cancelliera mal vista all’estero, descritta come “madame Non”, eterna temporeggiatrice d’Europa. Il passato non passa, torna a dominare il presente nell’immaginario collettivo degli altri, minaccia il futuro. Ricordi-fantasma dell’arroganza guglielmina più che nazista scendono in campo: “Das deutsche Wesen soll die Welt genesen”, lo spirito tedesco guarirà  il mondo, disse Guglielmo II, german way per tutti temuta oggi come ieri.
Sconcerto, fastidio, qualche autocritica ma anche delusione verso l’Europa. Gli umori li cogli a ogni angolo, contagiano bipartisan e trasversali politici e opinion maker governativi o comunque “merkeliani” e leader o intellettuali liberal o d’opposizione, e la gente comune, per chiunque pensi di votare. Ma insomma, cosa vuole il mondo da noi?, è il messaggio che lancia ogni interlocutore: basta con gli attacchi a qualsiasi scelta tedesca. Basta criticarci se facciamo troppo poco, se restiamo “gigante economico e nano politico”, e insieme di spararci addosso se invece da leader proponiamo condizioni per salvare l’euro e l’Europa. Tentativi di leadership, cui qui nella fredda Berlino invernale la gente comincia a non credere più. «Da soli, senza il resto d’Europa, forse staremmo meglio», senti mormorare nel metrò o negli shopping centers affollati per Natale: quasi metà  dei tedeschi, 46 su cento, ne sono convinti. Oppure: «Qui viviamo in 81 milioni, di cui 15 con origini straniere, e vivono ben meglio che non da dove vengono». Risveglio amaro, mitigato appena dalla Kaufkraft – potere d’acquisto, un valore costitutivo del dopoguerra occidentale – che resta forte, e almeno qui ingrassa ancora lo shopping. La fiducia negli altri europei se mai c’è stata svanisce, a cominciare dall’Italia. «Monti è l’opposto di Berlusconi, ma alla sua manovra gli italiani reagiscono come sono sempre stati bravi a fare, scioperando», scriveva il corrispondente del filogovernativo Die Welt l’altro ieri. Laboriosi, efficienti, primi della classe consapevoli, i tedeschi si sentono soli. Spaccati tra voglia di leadership a ogni costo e spinte allo splendido isolazionismo, come accadde a volte agli Usa in mezzo secolo di guerra fredda.
Salvare l’Europa, senza sentirsela di fidarsi di italiani, spagnoli e greci, senza nemmeno certezza che il rating francese regga? «La germanofobia è uno strumento di quei governi che vogliono essere salvati ma rifiutando le condizioni, bella soluzione a buon mercato, mai aspettarsi gratitudine da un debitore», commenta secco l’ex consigliere di Helmut Kohl sugli affari europei, Michael Stuermer, storico di grido e grande voce dell’intelligentsija conservatrice. Con tutto il suo aplomb da gentiluomo anglofono, di certi eccessi non ne può più. La vignetta sul Guardian con Angela Merkel come una lasciva Salomé con l’elmetto chiodato cui il servo Sarkozy offre la sua stessa testa, o quel commento sul Daily Mail secondo cui «con commercio e Diktat finanziari i tedeschi riusciranno oggi dove Hitler fallì con il Blitzkrieg, domineranno l’Europa», non gli vanno giù.
Dalle stanze della Cancelleria ai piani alti della Cdu, l’abitudine al contegno stenta a trattenere esplosioni d’insofferenza. E tra la gente in strada, quelle vignette semioscene e quei commenti ostili da tutto il mondo sparati in prima pagina con rabbia da Bild e dagli altri tabloid popolari di qui, sorprendono e fanno male. «Egoisti e miopi se esitiamo a guidare, guerrafondai imperialisti se tentiamo la leadership, ma insomma come si fa a piacervi?», sbotta un professore di liceo. Rabbia, delusione, tentazione di pensare solo a se stessi, li cogli tra la gente forti come non mai da decenni, certo come non mai dopo l’89 della caduta del Muro. «Per anni ci hanno rimproverato come una mega-Svizzera che rifiuta ogni ruolo da leader per l’Europa, ora che tentiamo ci sparano addosso. Via, anche l’America superpotenza scontentò tutti ma tirò avanti, dovremmo seguirne l’esempio», nota Clemens Wergin, editorialista principe di Die Welt, quotidiano liberalconservatore e vicino al governo. Continua amaro: «Questo clima ci ricorda che tra europei non sappiamo sentirci nazione. Perché non capite che ai nostri politici è difficile convincere gli elettori a pagare i debiti degli altri? Tra crediti e garanzie, il salvataggio dell’euro peserà  per circa 600 miliardi su un debito tedesco già  troppo oltre i tetti di Maastricht, e quando mai rivedremo quei soldi?». Eppure, dice ancora, «in questo clima è urgente che il governo Merkel resista a tentazione di alzare la voce, già  si sentono a Bruxelles lamentele sull’arroganza dei tedeschi. Ma ciò detto, guidare l’Europa è un ruolo obbligato, non un compito che la coscienza collettiva della Germania post-89 ha tanta voglia di assumersi».
Soprassalto duro dei liberalconservatori merkeliani? Non solo. Certo, qui a Berlino l’opposizione interna, destra eurofrigida se non euroscettica, nel partito della Cancelliera si organizza in corrente. Minaccia seria: col manipolo di contestatori neocon nazionali, la donna più potente del mondo deve trattare. Ma anche se senti gli opinion leader liberal, le critiche al resto d’Europa fioccano pure e dure. «Qualche errore è venuto da parte tedesca, quella frase del capogruppo cdu Kauder secondo cui “l’Europa ora parla di nuovo tedesco”, è imperdonabile, però i tedeschi si sentono bocciati sia se fanno troppo poco per l’Europa, sia se cercano di assumersi la responsabilità  di salvarla», nota Giovanni di Lorenzo, forse la migliore “grande penna” di Germania, direttore del prestigioso settimanale liberal Die Zeit. «Certi commenti dei partner europei – sottolinea – sembrano dimenticare che salvare l’euro e l’Europa costerà  anche ai tedeschi, e anche qui da noi per quelle centinaia di miliardi pagheranno prima di tutto i ceti più deboli».
L’umore si fa più cupo, la vittoria contro Cameron isolato al vertice europeo non è bastata. Non sveglia entusiasmi di chi vive e vota qui. Anni di salari e stipendi alti ma fermi contro inflazione e debito, tagli a welfare e pensioni, e poi pagare per il Sud Europa spendaccione? «La Germania si mostra paese civile, società  tranquilla, non cede alle emozioni. Non noti ancora esplosioni di collera», afferma di Lorenzo, «non emergono populisti euroscettici, e l’unico partito che ha cavalcato a un’elezione le riserve sull’euro, i liberali, ha pagato con la disfatta a Berlino». Resta da vedere fino a quando. La diffidenza profonda degli altri europei, ieri acqua passata, torna come uno schiaffo, «la pressione morale rispunta da pagine che credevamo voltate», avverte Lorenz Maroldt, direttore del Tagesspiegel, il più influente quotidiano liberal della capitale, nella nuova, austera sede a Kreuzberg quartiere giovanile e multietnico. «Pesano sulle chances del futuro anche frasi pronunciate dalla cancelliera a cuor leggero, come quella secondo cui “i portoghesi non lavorano abbastanza”. Il pericolo – mette in guardia – è che il nostro governo non riesca a convincere nessuno: né i suoi elettori refrattari a nuovi sacrifici, né i partner europei riluttanti al rigore made in Germany».


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