La primavera dell’ecologia

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Il complesso legame tra habitat, economia e società  può essere gestito se gli umani imparano dalla naturaPaolo Cacciari
Finalmente un testo di base di ecologia umana, di bio-antropologia o di bioumanesimo, a dir si voglia. Un testo antologico, questo di Tiziana Banini (Il cerchio e la linea. Alle radici della questione ambientale, Aracne, pp. 567, Euro 33), indispensabile per le scuole di ogni ordine e grado, ma anche per ambientalisti, militanti politici e quanti abbiano voglia di capire dove nasce e come si sviluppa il pensiero ecologico. «Per comprendere l’ecosistema e il modo con cui gli esseri umani possono interagire con esso senza provocare alterazioni – scrive l’autrice – è necessario focalizzare l’attenzione sulle relazioni che intercorrono tra gli elementi che lo costituiscono, ovvero dare rilievo al dinamismo che connota l’itero sistema».
Un libro di cui c’era bisogno per ricomporre dentro una dimensione storica filosofica unitaria il mosaico di saperi spezzati in tante discipline scientifiche. Un libro che contiene un «ipertesto» formato da schede che inanellano una rassegna delle crisi ambientali in corso: riscaldamento globale, buco dell’ozono, perdita di biodiversità , esaurimento delle risorse energetiche fossili, rarefazione dell’acqua, competizione nell’uso del suolo tra coltivazioni per usi alimentari e no-food e molte altre ancora. A fronte di tali problematiche, altre schede analizzano le azioni di governace intentate dalle istituzioni politiche: dichiarazioni, protocolli, convenzioni, agende e piani di azione internazionali, indicatori di sviluppo e di sostenibilità , strumenti di valutazione degli impatti ambientali, tutte puntualmente descritte.
Metabolismo sociale
Senza questo grande sforzo di concatenazione tra gli studi sullo stato di salute degli ecosistemi, l’analisi della funzionalità  dei cicli vitali naturali e i comportamenti umani che ne determinano l’uso e l’abuso, non è possibile capire il «metabolismo sociale» del nostro sistema di produzione e di consumo. Realtà  fattuale e pensiero, miti, psicologia sociale, modelli umani di riferimento trovano nell’ecologia le verifiche e i riscontri necessari. Lo studio della natura, senza considerare l’influenza dell’«imperfezione» umana (ecocentrismo) e, viceversa, le scienze umane – a cominciare dalla sua regina; l’economia – non relazionate ai sistemi vitali, naturali connettivi (antropocentrismo, etnocentrismo, endocentrismo), non ci fanno fare molta strada. La sfida dell’ecologia è rompere la separatezza secolare – da Bacone a Nietzsche, ma forse ancora da prima e sicuramente ancora in corso – tra uomo (inteso in senso proprio come maschio, bianco, proprietario) e natura, tra mente e corpo, tra razionalità  calcolatrice ed emozionalità  sentimentale, tra uomo e donna, tra bambino e adulto, tra il locale e il planetario, tra l’individuo singolo e le comunità  sociali. La natura – ci invita Vandhana Shiva – va vista come intreccio di forze cognitive, emotive e sociali. Per comprenderla – come dice il teologo brasiliano Leonard Boff – bisognerebbe possedere una razionalità  sensibile e cordiale. In definitiva, un umanesimo ecologico. Siamo stati abituati dalla società  industriale a vedere il sole, il vento, l’acqua attraverso gli occhiali dell’utilitarismo come fossero pannelli fotovoltaici, pale eoliche, turbine e non siamo più capaci di apprezzarli come luce, colori, profumi, fragranze. «La natura come valore esistenziale», scrive la Banini. Beni indivisibili e incommensurabili con il metro del denaro. Common goods. Beni comuni, come rivendicano oggi numerosi movimenti.
Il cerchio da chiudere
La sottomissione della natura alla potenza di trasformazione geofisica raggiunta dalle tecnologie ha comportato la desacralizzazione del mondo. Da qui «il complesso degli dei» (Richter), il delirio di onnipotenza o, più penosamente, la perdita del senso del limite, la stolta dismisura, l’autodistruzione dell’unico habitat dentro cui la specie umana può sopravvivere. «La natura – scrive la Banini – è in grado di reagire agli input destabilizzanti attraverso i suoi processi di autopoiesi, resilienza, resistenza, che però hanno un limite, oltre il quale si innescano morfogenesi dagli esiti imprevedibili e rischiosi per lo stesso genere umano, laddove l’integrità  dell’ecosistema è condizione basilare per garantire benessere e progresso effettivo all’intera umanità ». L’essere dell’uomo – hanno scritto in molti – è nel mondo e non contro il mondo. Impararci a con-vivere è la sfida del nostro tempo. L’obiettivo – secondo l’autrice – deve essere «l’integrazione tra società , economia e natura».
Con questo volume Tiziana Banini ci invita a tornare alla «primavera dell’ecologia», a Barry Commoner (Il cerchio da chiudere, del 1972) da cui prende spunto il titolo del volume. È il momento in cui cambia «il modo di intendere l’ambiente – afferma l’autrice – sotto il profilo non solo sociale e politico, ma anche scientifico»; dal determinismo, al funzionalismo, fino all’olistica sistemica. Una straordinaria stagione che portò alla Conferenza di Stoccolma su Human Environment e alla nascita della agenzia dell’Onu per l’ambiente. Autori come Odum, Aurelio Peccei e i Meadows (autori del primo rapporto del Club di Roma), Georgescu-Rogen, Kenneth Boulding, Herman Daly, Gregory Bateson, Arne Naess, Ivan Illich, Ernst Friedrich Shumacher, André Gorz, James Lovelock, Hans Joanas, Carolyn Merchant, Cornelius Castoriadis, Edgar Morin, Fritrjof Capra, Murray Bookchin hanno segnato un salto nelle scienze. Poi i terribili anni del neo-oscurantismo dell’ideologi neoliberista, del ritorno «alla concezione lineare e meccanica del tempo» (quella della crescita esponenziale del Pil) che ci hanno portati alla «crisi di sistema» in cui viviamo. 
Un problema di valori
Una crisi non solo finanziaria e nemmeno solo economica, ma climatica, energetica, alimentare, idrica… che ci sta portando a tremende lotte per l’accaparramento delle materi prime residue. «Da trent’anni – scrive la Banini – si è consapevoli che il modello di sviluppo basato sulla crescita economica è fallimentare sia sotto il profilo ambientale, sia sotto il profilo sociale, perchè non assicura democrazia, perchè non garantisce benessere reale, perchè non è supportabile dall’ecosistema, perché si regge su una profonda sperequazione globale nell’accesso alle risorse fondamentali». L’autrice consiglia di «imparare dalla natura» dove vigono i principi di interdipendenza, ciclicità , partecipazione e flessibilità .
Il volume si chiude con un capitolo sulla decrescita e sulla bioeconomia di Gerorescu-Roegen, di Latouche, Boaniuti e sull’economia solidale descritte come «un cambiamento di orizzonte valoriale» prima ancora che come un nuovo progetto politico.


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