La voglia matta dell’oro che sta divorando l’India

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BANGKOK – Saranno i tempi di crisi. Sarà  l’attaccamento all’unica tradizione che rimane saldissima in India assieme al sistema delle caste. Fatto sta che l’immenso continente attraversa una nuova, sorprendente corsa all’oro, con un’impennata nei prezzi e negli acquisti. Ma a goderne non sono le famiglie che, pur vivendo spesso in povertà , sono disposte a indebitarsi per far sposare una figlia in questo speciale periodo dell’anno tra ottobre e gennaio, a cavallo di varie feste considerate propizie dalla tradizione vedica induista. Oggi infatti una parure, anche la più semplice richiesta dal rito, collane, orecchini, bracciali, anelli al naso e sulle dita, costano un occhio della testa, specialmente da quando l’oro è balzato ben al di sopra dei 550 dollari per dieci grammi. Ma se soltanto pochi indiani della classe media riescono a permettersi oggi il lusso degli agognati ornamenti, c’è chi guadagna e investe approfittando proprio della vertiginosa ascesa dei prezzi.
In testa a questa cordata di cercatori d’oro dei tempi moderni, sono i vertici delle uniche dieci banche autorizzate ad acquistarlo all’estero e a piazzarlo sui mercati interni sotto forma di barre e barrette. Sanno che andrà  a ruba tra gli investitori di professione e tra coloro che hanno qualche milione di rupie da mettere al sicuro, visto il trend che vede un aumento del 30, 40 per cento degli acquisiti delle barre di prezioso metallo rispetto a un anno fa. Per loro è febbre a 999 carati, e attendono ogni offerta come una manna dal cielo, nonostante i rischi di improvvisi deprezzamenti sempre in agguato sui mercati finanziari.
Questo tipo di investitore non frequenterebbe mai il Bancomat aperto ai grandi magazzini Phoenix Mills nel distretto commerciale di Mumbai, dove la macchina distribuisce invece dei soldi lingottini da 600 dollari l’uno. Solo ragazzine e qualche signora vi si affollano attorno per farsi qualche foto, non certo per comprare. Chi ha i soldi, sale nei piani alti delle banche e acquista direttamente i “bullion” allo stato puro, possibilmente quelli coniati dalla celebre zecca Pamp svizzera, la «migliore del mondo», o si serve delle finanziarie come la Reliance Spot Exchange, che da sola vende quasi un miliardo di valore in lingotti da un chilo e 100 grammi,.
Il paradosso è che – secondo uno studio dell’università  australiana Macquarie – la gioielleria che le donne indiane accumulano in vista del matrimonio equivale al 50 per cento del reddito interno lordo nazionale e corrisponde a 18mila tonnellate, l’undici per cento dello stock mondiale, ovvero un valore di ben 950 miliardi di dollari. È un dato impressionante, in contrasto con la limitatezza delle risorse aurifere del grande continente. Secondo l’ultimo dato disponibile del 2009, sono state infatti estratte dalle miniere nazionali appena 2,46 tonnellate contro le 600 acquistate o consumate ogni anno. Ma in futuro, entro il 2020, la corsa ad accaparrarsi sul mercato mondiale lingotti e monete – secondo il Centro di monitoraggio dell’Economia – raddoppierà  drasticamente, per superare quota 1.200 tonnellate.
L’oro è diventato già  da tempo in India il secondo bene d’importazione dopo il petrolio, e conta per il 9,6 per cento di tutti gli acquistati dall’estero. Un dato significativo che secondo lo studio degli esperti australiani contribuisce ad allargare il deficit dei pagamenti, indebolisce la moneta nazionale, la rupia, e nella sostanza vede rinchiuso negli scrigni e nelle casseforti delle famiglie indiane un enorme flusso di denaro vitale per l’economia. La sola importazione di oro – scrivono i ricercatori della Macquarie – ha provocato tra il 2008 e il 2011 un deficit pari al 2,6 del Prodotto interno lordo contro il precedente 1,3.
Ma le famiglie che conservano spesso sotto ai materassi la gioielleria di casa, non vogliono sentirsi accollare il peso dei conti pubblici. Proprio per l’alto valore raggiunto dal metallo giallo, ben pochi metterebbero oggi sul mercato i loro ciondoli, a meno di una urgente necessità , visto un prevedibile ulteriore aumento dei prezzi. Per questo le raffinerie non riescono ad accaparrarsi l’oro di scarto sufficiente per rifornire le gioiellerie, lasciando ancora di più il mercato in mano a banche e società  d’affari.
Con la febbre gialla spinta al massimo, è facile intuire come mai non si sia ancora spenta l’eco della scoperta avvenuta pochi mesi fa, in una volta del tempio di Sri Padmanabhaswamy in Kerala, di oro, gioielli e statue massicce del valore di ben 22 miliardi di dollari. Il governo statale ha dovuto spedire parecchi poliziotti per frenare i disordini scoppiati tra i pretendenti al tesoro.


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