Politica? No, è tutto un reality show

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NEW YORK
Paragonata da Barack Obama a una stagione di Survivor, descritta dal grande burattinaio di George W. Bush, Karl Rove, come «la più imprevedibile, rapidamente mutevole e spesso del tutto indecifrabile corsa alle primarie cui ho mai assistito», la battaglia tra i candidati alla nomination repubblicana, che entra nella sua fase «ufficiale» con il caucus dell’Iowa, il 3 gennaio prossimo, ha già  segnato una svolta nei modi del coverage politico in tv. Non sbagliava Obama ad avvicinarla a un noto reality show: la messa in onda senza precedenti di tredici, seguitissimi, dibattiti elettorali, con i loro estratti rimbalzati a ripetizione prima sui canali all news e poi sui talk show comici della notte, ha significato non solo grandissima visibilità , praticamente gratuita, per i candidati, ma anche un senso di rituale familiarità  con il pubblico più simile a quello che si instaura con gli alti e bassi della famiglia Kardashian che con degli aspiranti alla presidenza degli Stati uniti. Da qui l’inedita tolleranza che anche l’elettorato più conservatore è parso dimostrare nei confronti dei tre matrimoni e delle infedeltà  multiple di New Gingrich, delle gaffes abissali di Rick Perry o Michele Bachman e persino (fino a quando non sono diventate troppe) delle accuse di molestia sessuale emerse contro l’imprenditore della pizza Herman Cain. È una tolleranza di cui sicuramente non ha potuto beneficiare Bill Clinton, ma abbastanza impensabile anche per Bush Jr. o Obama.
La creazione di questa quotidianità  molto soap tra pubblico e candidati (varata da Sarah Palin e famiglia), nei primi sei mesi di campagna, ha eliminato quasi del tutto la necessità  degli spot elettorali – e reso possibile, per esempio, la recente impennata delle quotazioni di Newt Gingrich, uno dei repubblicani in corsa con l’organizzazione più fragile (l’altro giorno non è riuscito nemmeno a totalizzare il numero di firme necessario a partecipare alla primarie della Virginia, lo stato in cui vive) e più snobbati dai poteri finanziari dell’establishment del partito, ma molto efficace negli scambi televisivi.
Però alle soglie dell’Iowa e, la settimana successiva, delle primarie del New Hampshire la campagna sembra essere entrata in una fase più convenzionale, in cui lo spot gioca nuovamente un ruolo determinante. Più ricco e quindi più avvantaggiato di tutti, Mitt Romney ne ha sfoderati una serie nutritissima -da un idillico home-video famigliare in bianco e nero, ispirato all’iconografia kennediana e inteso a evidenziare il contrasto con la caotica vita coniugale di Gingrich, a quello intitolato «obbligo morale» e dedicato alle necessità  di tagliare le spese riducendo i poteri del governo federale, all’immancabile serie di quadretti all American con sfondi rurali, ambientazioni tra lavoratori blue collar ormai in via di estinzione e bambini biondi normanrockwelliani da secolo scorso. Il biglietto da visita con cui si presenta -un businessman conservatore – non è una gran trovata d’immaginazione, ma sintetizza la combinazione di pragmatico e reazionario con cui Romney – con quel suo nonsochè di androide- intende contrapporsi a Obama, una volta vinta la nomination. Perché ciò succeda, l’ostacolo più grosso finora è stato costituito da Gingrich, che vanta al suo attivo la (pur breve) rivoluzione repubblicana del 1994 e il sostegno dell’elettorato teapartista. Ed è quindi contro di lui che si è concentrato lo tsunami di pubblicità  negativa abbattutosi sull’Iowa -per un totale, secondo gli analisti della Kantar Media, tra radio e TV, di circa 1200 spot contro l’ex speaker della Camera- nel giro di poche settimane. 
«Con amici come Newt, chi ha bisogno della sinistra?», dice un clip di 30 secondi, in cui venivano ricordati commenti negativi fatti da Gingrich contro la proposta di budget del deputato repubblicano Paul Ryan. Tra quelli pare andati più a segno è Newt and Nancy , in cui Gingrich, seduto al fianco di Nancy Pelosi, ammette che bisogna fare qualcosa per fermare l’effetto serra. In un altro, su un’ipotetica lista dei regali di Natale di Barack Obama è indicato un solo desiderio: «Newt Gingrich vincitore della nomina repubblicana per il 2012. Per piacere Santa!». Sia dai sondaggi nazionali che da quelli in Iowa e New Hampshire è chiaro che gli spot stanno facendo il loro effetto.
Mitt Romney è il candidato che più può beneficiare dal rapido declino della fortune di Gingrich. Ma non è il solo a pagare milioni per fermarlo. Un gruppo di sostenitori, battezzato Restore Our Future, ha per esempio già  investito due milioni e mezzo di dollari in pubblicità  anti Gingrich, di cui un milione e quattrocentomila durante la settimana prima di Natale. La grande, pericolosissima, quasi-novità  nei giochi elettorali 2012 saranno infatti i super Pac, organizzazioni sotto il cui ombrello si possono raccogliere finanziamenti di corporation, individui e sindacati a un candidato particolare. Legalizzati da una sentenza della Corte Suprema del 10 gennaio 2010, che riconosce alle corporation lo stesso diritto di libertà  di parola che ha un individuo, i super Pac possono immettere in una campagna elettorale un numero illimitato di denaro, a favore di un candidato o di una causa, senza identificare l’origine dei finanziamenti. Unica clausola, non deve esserci rapporto diretto o coordinamento con la struttura operativa del candidato in questione. Il che, in realtà  semplifica ulteriormente le cose, perché i super Pac, con la loro sfera di anonimato, possono essere più aggressivi e più depistanti (per non dire falsi) di quello che potrebbe permettersi uno spot ufficialmente «firmato». L’anno scorso, le elezioni di medio termine hanno visto il rodaggio dei super Pac. Crossroads Gps, quello associato all’ organizzazione di Karl Rove, American Crossroads, ha investito trentotto milioni di dollari per sconfiggere i democratici il novembre 2010. Negli scorsi dodici mesi sono stati attivissimi con massicce iniezioni di sofisticata pubblicità  negativa anche anche in situazioni di politica locale, come per esempio a favore della battaglia contro i sindacati condotta dal governatore Scott Walker in Wisconsin. E il pieno effetto della loro apparizione sulla scena sarà  verificabile nel 2012. Oltre all’aumento stratosferico dei giri di denaro legati alla pubblicità  elettorale, una delle implicazioni dell’entrata in scena dei super Pac è la nazionalizzazione di processi elettorali delle primarie, un tempo ritenuti di interesse locale. C’è grande attenzione, per esempio, nei confronti della situazione in Massachusetts dove Elizabeth Warren, probabile candidata democratica al senato contro il repubblicano Scott Brown, è già  entrata nel mirino di Crossorads Gps, che ha investito 1 milione di dollari in due spot -uno che dipinge Warren come fonte d’ispirazione di Occupy Wall Street, «dell’ estrema sinistra» e di manifestanti «che attaccano la polizia, usano droga», l’altro come un’alleata della banche e una degli artefici del bailout di Wall Street, nel 2008. Poco importa se Warren è stata, e rimane, uno dei massimi avvocati della regolamentazione delle istituzioni finanziarie. Anzi, Rove e soci, si stanno muovendo contro di lei proprio per quello.


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